POVERI NOI

POVERI NOI

di Vittorio Gervasi

Accade a Montesilvano…dove anche una mensa dei poveri diventa occasione per una protesta. Il fatto non può passare inosservato. Sono tante le notizie che passano rapidamente, sono altrettante le cose della vita che scorrono fluide da non riuscire a fermarle un attimo a tal punto che si dimenticano nel momento stesso in cui accadono. L’informazione al tempo dei social network assomiglia tanto a un flusso inarrestabile che seppellisce tutto quello che incontra. Ma questa notizia no, miei cari, questa rimane perché segna il tempo, scandisce un’epoca, lascia una traccia e cercheremo di capire il perché. Rimettiamo in fila i fatti. Da qualche anno l’Amministrazione comunale lavora ad un progetto sociale rivolto ai più poveri, agli indigenti, a quelli che non hanno l’essenziale: un pasto caldo oppure un vestito per coprirsi. Più che un progetto è un’alleanza contro la povertà (tale è infatti il suo nome) che mette insieme vari attori – Comune, Caritas e Azienda Speciale – per dare un volto più umano alla città.

Sono 60 i posti a sedere che dal lunedì al sabato alleggeriscono la fame di chi ha poco o niente di suo da mettere nello stomaco. Ma non basta. C’è anche l’emporio solidale, un negozio gratuito dove prendere il necessario senza doverlo pagare; incredibile ma vero. Tutto ciò ha preso forma e sostanza nell’ex stabilimento Artingianluce a Santa Filomena. E poi arriverà anche uno Sprar che consentirà di dare accoglienza ai profughi riducendo (riducendo) il numero di immigrati da ospitare nella nostra città: questo conviene ricordarlo! Da quando è cominciata la crisi economica, all’incirca correva l’anno 2007, i poveri sono raddoppiati in Italia come a Montesilvano. E i poveri non sono più solo gli anziani che stentano a sopravvivere, sono anche i disoccupati di lunga durata, sono i separati che non riescono più a far fronte alle spese raddoppiate – una famiglia spezzata moltiplica i costi – e poi ci sono le famiglie numerose, generose nel dare la vita ma con un fisco ingeneroso che le tratta al pari di un single. E poi ci sono imprenditori che con la crisi hanno perso tutto. E gli italiani, contrariamente a quanto comunemente si pensi, nelle mense dei poveri sono più numerosi degli immigrati. Sì, perché anche noi italiani ci stiamo impoverendo. La povertà, diciamo pure un’ovvietà, non piace a nessuno; ma possibile – e questo è sconcertante – che se c’è chi vuole combatterla non piaccia nemmeno questo? Diceva un caro amico a proposito delle critiche azzardate, che “non siamo delle monete d’oro che piacciono a tutti”. Infatti, piacere a tutti è impossibile, ma non è impossibile capire gli altri quando sono portatori di una buona notizia. Il bene è bene, ed è un bene per tutti. Una cosa ben fatta va a vantaggio di tutti. Le buone notizie ci sono, basta volerle leggere, saperle riconoscere e non farsi soffocare dal rumore mediatico, cioè da quella cappa di negatività che opprime come il caldo di questi giorni e non lascia traspirare l’aria buona, fresca, che ci ristora e ci conforta per trovare motivi per andare avanti. Torniamo ai nostri poveri: a me, ve lo confido, hanno sempre dato molto aiuto. Ci insegnano che si può vivere con poco, talvolta con niente e conservare una grande dignità. Ditemi se è poco. Dietro ogni persona c’è una storia e dietro ogni povero c’è qualcosa di più di quello che sembra. I migliori film, guarda caso, sono tratti da storie vere, storie incredibili che la fantasia umana non riuscirebbe mai ad inventare e che riguardano persone che calpestano la nostra stessa terra. Quando per strada incontro un povero – se ho tempo – prima ancora di pensare se dargli l’elemosina, provo a parlare un po’ con lui. Conoscere il suo nome, la provenienza, per quale circostanza è arrivato nella nostra città, se ha famiglia. Il risultato è la scoperta di un mondo completamente diverso da quello che spesso ci immaginiamo. Gli stereotipi, i luoghi comuni, quelle credenze tanto diffuse ma così superficiali che chiudono la nostra vita in una scatola, che ci condiziona e ci fanno vedere le cose come noi le vogliamo vedere rispetto a come realmente sono, bisogna avere il coraggio di sorpassarle. Il mondo è molto più bello di come talvolta sembra, se solo si ha voglia di scoperchiarlo. E una parola di conforto, o forse, meglio, di considerazione, solleva più di una monetina deposta in un cappello per racimolare qualche spicciolo. Trascrivo da un discorso di quella piccola donna albanese nota a tutti come Madre Teresa di Calcutta, al secolo Anjezë Gonxhe Bojaxhiu, che racconta: <<Io personalmente non sono degna, ma ho preso una bambina dalla strada ed ho visto sul suo viso che la bambina aveva fame. Dio solo sa da quanti giorni non mangiava. Così le diedi un pezzo di pane. E la piccola iniziò a mangiare. Briciola dopo briciola. E io dissi “mangia, mangia il pane, mangia” e lei mi guardò e disse “ho paura di mangiare il pane, perché quando finisce avrò di nuovo fame”. Questa è la realtà. Forse non abbiamo bisogno di un pezzo di pane, ma forse c’è qualcuno nella famiglia che è indesiderato, senza amore, trascurato o dimenticato. L’amore esiste. L’amore inizia a casa. L’amore vero fa male. Questo è ciò che porto davanti ai vostri occhi. Amarsi l’un l’altro di un grande amore>>. Teresa di Calcutta è santa, e come tutti i santi viene a ricordarci concetti a noi già noti ma dimenticati. Si fa presto a dimenticare, ci vuole tempo per ricordare e cominciare a ricostruire. Ricostruire reti di solidarietà attiva, concreta, positiva. Non polemiche, non toni elevati, ma semplici gesti quotidiani che rendono una comunità solida perché legata da vincoli di comprensione e attenzione indissolubili. Una comunità forte condivide valori comuni. Ciò che unisce sono i valori, che altro non sono che tutto ciò che resta quando tutto crolla. La nostra è una società al tracollo, ma i valori della solidarietà sono nel nostro Dna; nonostante tutto riemergono sempre quando c’è bisogno perché sappiamo accogliere. Chiariamo un aspetto. Accogliere non significa tollerare tutto, accettare passivamente ogni cosa. Il buonismo che oggi dilaga sul tema immigrazione, che potremmo chiamare permissivismo – permettere tutto in nome della bontà – è una forma deviata di carità. L’ospitalità implica gratitudine verso chi la offre; comporta per l’ospitato il rispetto delle regole di base della convivenza civile; significa contribuire al bene comune di un Paese. Se da ospite mi comporto male e violo sistematicamente norme elementari di buona convivenza è segno evidente che non riconosco il valore dell’ospitalità, che non ho interesse a integrarmi e a rispettare le leggi civili del popolo che mi accoglie; e una comunità accogliente non può certo accettare di veder calpestate le regole democratiche che legittimamente si è data e sulle quali ha costruito la sua identità.

Se perdiamo il gusto del bene, se alziamo polveroni sulla carità, se non distinguiamo più il bello dal brutto, non mi resta che dire: poveri noi!