PAOLO MERLETTI
PAOLO MERLETTI
di Erminia Mantini
Piccolo grande uomo: così lo definivano quelli che hanno avuto la ventura di conoscerlo e di sperimentare il suo smisurato altruismo realizzato con una disponibilità incurante degli ostacoli. Era figlio di Antonio, detto Ricuccio, autotrasportatore del cementificio di Pescara, e di Filomena Di Simone, Memena, per alcuni anni operaia, come tante donne allora, nello stabilimento di Clemente e Pasetti, che avevano impiantato con successo la produzione della passata di pomodoro e la conservazione di prodotti stagionali, nell’area del cavatone. Aveva respirato in famiglia lo spirito silenzioso del sacrificio, della laboriosità e dell’attenzione verso il prossimo. Dopo la licenza media, faticò a trovare la sua strada: lavorò per un breve periodo alla CORET, poi scelse di espletare il servizio militare nel Corpo dei Vigili del Fuoco, prima a Roma e poi a L’Aquila. Ebbe modo così di individuare meglio la sua vocazione: provare gioia nell’aiutare il prossimo. Chissà, forse avrebbe firmato per proseguire, se due sfortunati incidenti, in cui batté violentemente la testa, non l’avessero mandato in coma. E fu congedato per causa militare. Fu autotrasportatore come il padre, poi fu assunto dal Comune e assegnato alla custodia del palazzetto dello sport di via Senna. Ma cominciò subito a ricercare una soluzione più gratificante e consona al suo sentire: riuscì a scambiare il suo ruolo con quello di Franco Fiorenzo e finalmente entrò in contatto con la più incantevole umanità di ogni tempo e latitudine, quella dei bambini! Nella scuola elementare del centro, col suo sorriso empatico sotto i folti baffi scuri, era per tutti il bidello buono; i bambini lo chiamavano simpaticamente coffee?, la domanda che all’ora di ricreazione, rivolgeva alle maestre, affacciandosi con discrezione alla porta! In sinergia con gli insegnanti istituzionali, prolungava nell’atrio, nel corridoio, ma anche fuori della scuola, quell’atmosfera educativa che sorpassa l’insegnamento canonico e avvia al saper vivere: dalla celia alla riflessione, dall’ascolto alla consolazione, dalla ramanzina al soccorso. Gioviale e laborioso, collaborò con le maestre Tatone, Cretarola, Piergallini, Grandi; con le cuoche dell’asilo e naturalmente con i colleghi lduccia, Remo e Arnaldo, onorando il ruolo della mitica bidella che l’aveva preceduto, donna Filomena, madre di Mimì Di Giandomenico. Prima dell’entrata a scuola e dopo la chiusura, il gruppetto dei bidelli si ritrovava sempre lì, all’angolo della scuola, ed era un momento di festa, come ci racconta il titolare del Caffè Daniel’s, Armando, che da quasi mezzo secolo ha sotto gli occhi la vita della piazza principale, i personaggi, le abitudini, i comportamenti e ricorda con una punta di nostalgia:< Ogni giorno, nel tardo pomeriggio, arrivavano alla spicciolata e si riunivano, come in un salotto, Di Baldassarre, Marcheggiani, Verziere, Colatriano, Baiocchi, Sivignani e altri e, se ascoltavi, riportavi sempre con te qualcosa su cui meditare o qualche ricordo rispolverato. E Paolo era lì: una parola per tanti, un sorriso per tutti, anche se s’intratteneva soprattutto con Gildo e Alfredo di fajiule; alla prima neve era il primo a scendere in piazza a festeggiare l’evento; mi manca il suo carnevale, quando si legava ai piedi il grandissimo pupazzo della coppia che aveva costruito con le sue mani!>.
Ma Paolo sentiva di poter dare di più: dentro di sé custodiva il pallino di operare più marcatamente nel sociale. E proprio in quella piazza, dalle conversazioni con gli amici, nacque l’idea di creare a Montesilvano un centro della C.R.I. Senza indugio, nel ’79, insieme a Nino Fanti, Guido Giansante, Paolo D’Isidoro e Planamente, Paolo ottenuto il consenso dal responsabile regionale Amedeo Santacroce, si mise subito all’opera. <Paolo fu il simbolo vivente della CRI a Montesilvano e numero uno in Abruzzo>, rievoca Nino Fanti, che aveva messo a disposizione uno dei suoi locali al numero 100 di via Vestina. Dopo aver seguito il corso di preparazione a Pescara, Paolo con forte entusiasmo iniziò a ricercare sostenitori, a prendere contatto con le istituzioni, a reclutare volontari. Nel giro di pochi mesi aveva trasmesso passione e competenze a una cinquantina di concittadini. E ogni anno, per quasi un ventennio con immutata dedizione, teneva corsi ad aspiranti volontari; contemporaneamente martellava organismi pubblici e privati per costituire l’equipaggiamento necessario. < La prima ambulanza ci fu offerta dalla Monti , come segno di gratitudine – racconta Nino – poiché il nostro gruppetto, sempre pronto a dare una mano, si era attivato per spegnere un incendio all’interno della fabbrica; la seconda fu acquistata con il contributo della BBC di Cappelle; le tende ci sono state fornite dal Comune e, più tardi la Provincia, tramite l’interessamento di un suo dipendente, Vitaliano Patricelli, dotò il nostro centro di un furgone bianco, che consentiva il trasporto di uomini e di attrezzature nei luoghi d’intervento>. Paolo, responsabile del centro, era sempre attento a prevenire per evitare l’irreparabile: aveva posizionato nell’atrio, all’interno della scuola, un’ambulanza, che in molte occasioni si rivelò indispensabile, talora benedetta, come quando salvò letteralmente la vita al piccolo Marco Savini. Nelle giornate estive collocava l’ambulanza a Stella del Mare e, quando soffiava l’insidioso scirocco, insieme a Nino sorvegliava la spiaggia, soprattutto nei tratti occupati dalle colonie marine; più di una volta gruppi di bambini, sospinti dal vento e dalla corrente, furono riportati a riva con apposite funi.
Organizzava campi di addestramento e prove di simulazione nell’area libera attorno alla fabbrica di Monti, in pieno centro abitato, ma anche fuori città, spesso ad Avezzano e a L’Aquila. Portava il suo contributo in tutte le zone colpite da calamità e nell’80 andò in aiuto dei terremotati dell’Irpinia e della Basilicata, dove allestì tende e prestò i primi soccorsi, fornendo anche cibo e vestiario.
Dovunque fosse necessario dare una mano, Paolo c’era sempre, instancabile e sorridente; non faceva mancare il suo aiuto neanche nell’organizzazione della festa patronale, agevolando la faticosa questua in una città che conosceva a menadito. Si concedeva, in solitudine, soltanto l’hobby della pesca alla foce del Saline, con la sciabica, lu schiazze; nel pomeriggio poi distribuiva con soddisfazione spigole e cefali agli amici.
Le sue giornate donate si concludevano in famiglia, dove l’aspettava la moglie Licia, la cui amorevole pazienza e la piena condivisione d’intenti sembrano racchiuse nel suo cognome, Tesauro! Si erano conosciuti a 17 anni in una festa da ballo e s’intesero all’istante; l’armonia coniugale sarà poi allietata dalla nascita di Erika, adorata e vezzeggiata, che oggi coccola il suo piccolo Paolo!
E poi, nube nera in un cielo serenissimo, venne quell’infausto giorno in cui Paolo accusò un improvviso malore e fu accompagnato a casa dal collega Galileo; le cure ospedaliere non riuscirono a vincere l’aneurisma cerebrale. Aveva solo 43 anni.
una storia di altri tempi ! Paolo ci mancherai per sempre ma il tuo ricordo indelebile in me !