L’economia del dono, un fatto di umiltà.
Su di un campione di mille italiani, la Swg ha condotto un sondaggio dal quale emerge un aspetto molto importante: i cittadini desiderano che si persegua una qualche forma di equilibrio di fronte alla contestuale esigenza di conseguire profitti e la necessità di soddisfare le esigenze proprie di una società civile;
non si è più disposti ad accettare azioni speculative o di ingegneria finanziaria volte solo a rendere poco trasparente e pericolose anche le più semplici operazioni da parte di privati o della Pubblica amministrazione. Più in particolare il 35,6% del suddetto campione è interessato ad un’economia solidale e condivisa, ovvero un’economia che non solo consenta di generare profitti, ma anche di assicurare alle persone di vivere meglio. Sempre secondo il sondaggio della Swg, il futuro dell’economia dovrebbe aver bisogno per il 38,8% di gruppi di acquisto solidali, per il 28,5% di crowdfunding, per 26,7% della banca del tempo, per il 21,10% di car sharing.
Si va consolidando sempre di più l’idea che il bene comune abbia necessità di un’attenzione particolare da parte dell’Ente pubblico, e che l’economia del dono sia la risposta più giusta per favorire una maggiore coesione sociale. “La coesione sociale è una forma di interazione fondamentale per la competitività dei sistemi economici perché si traduce in capacità di cooperazione sociale sofisticata. Accanto a questo aspetto ce n’è un altro, che ha a che fare con la diversità: le economie più complesse hanno bisogno di diversità – culturale e sociale prima che economica – come motore che spinge all’azione” .
Parlare di economia della cooperazione non dovrebbe lasciare indifferenti anche perché essa può trovare da subito una concreta applicazione presso gli enti locali, così come abbiamo avuto modo di scrivere già in un nostro precedente intervento , in quanto può contare già su molti input normativi. Le difficoltà finanziarie a cui il Governo centrale costringe gli Enti Locali ormai da qualche anno, insieme ad una serie di funzioni che vengono erogate con sempre meno risorse, divenendo per la gran parte vere e proprie forme di supplenza pubblica, stanno mettendo a dura prova gli amministratori locali. Veronica Nicotra, segretario generale Anci, pur denunciando questo stato di disagio, lancia però un segnale positivo quando afferma “che i Comuni tutti e le Città hanno idee, voglia di fare. Basta con le vestali del rigore ottuso, cambiare si deve nelle condotte, nei tempi di risposta della Pubblica amministrazione, nelle scelte. I Comuni hanno una visione e vogliono condividerla e realizzarla per un’Italia che vuole vincere” .
È in questo contesto che da più parti si richiama l’attenzione all’articolo 24 del Decreto “Sblocca Italia” (Dl 133 del 2014) che, di fatto, esplicita nella norma un approccio bottom up, ovvero una partecipazione della cittadinanza attiva alla realizzazione di opere concrete per il recupero o il miglioramento di piazze, strade, scuole, giardini pubblici, immobili, ecc. ed, in qualche modo, anche per ridare fiducia ad un’immagine dell’Ente Locale segnata dai sacrifici a cui è stato chiamato dallo Stato. L’articolo 24 del suddetto Decreto recita: “I comuni possono definire con apposita delibera i criteri e le condizioni per la realizzazione di interventi su progetti presentati da cittadini singoli o associati, purché individuati in relazione al territorio da riqualificare. Gli interventi possono riguardare la pulizia, la manutenzione, l’abbellimento di aree verdi, piazze, strade ovvero interventi di decoro urbano, di recupero e riuso, con finalità di interesse generale, di aree e beni immobili inutilizzati, e in genere la valorizzazione di una limitata zona del territorio urbano o extraurbano. In relazione alla tipologia dei predetti interventi, i comuni possono deliberare riduzioni o esenzioni di tributi inerenti al tipo di attività posta in essere.
L’esenzione è concessa per un periodo limitato e definito, per specifici tributi e per attività individuate dai comuni, in ragione dell’esercizio sussidiario dell’attività posta in essere. Tali riduzioni sono concesse prioritariamente a comunità di cittadini costituite in forme associative stabili e giuridicamente riconosciute”.
Come si diceva più sopra, il suddetto articolo di legge non trova completamente impreparati gli Enti locali, molti di essi, e tra questi anche il Comune di Montesilvano, hanno infatti già adottato il “Regolamento sulla collaborazione tra cittadini e amministrazioni tra cittadini e amministrazioni per la cura e la rigenerazione dei beni comuni urbani”, ovvero uno strumento concreto che vuole consentire ai cittadini di mostrare interesse verso il bene comune attraverso una serie di interventi condivisi con un unico obiettivo: migliorare la qualità del bene comune e la vita nelle città. L’articolo 24 del Decreto “Sblocca Italia”, così come il suddetto Regolamento sono la concreta applicazione del principio della sussidiarietà che seppur sancito ormai da anni nella nostra Costituzione, sarebbe rimasta lettera morta se il legislatore, dal canto suo, non avesse provveduto a darne seguito con norme operative.
Pur tuttavia la vera sfida sarà quella di riuscire ad attivare un circolo virtuoso tra la Pubblica amministrazione ed i cittadini, soprattutto in considerazione del fatto che la prima è sempre particolarmente restia ai cambiamenti ed ancor più ad un’apertura collaborativa verso i secondi. Il cambio di rotta vorrebbe un’Amministrazione locale che non solo sia un supporto per quei cittadini che si propongono di collaborare con la Pubblica amministrazione grazie ad una proposta cantierabile, ma che sia, inoltre, anche un soggetto promotore in grado di promuovere l’importanza della partecipazione attiva dei cittadini. I contributi di questi ultimi alla cura dei beni comuni sarebbe un errore relegarli a fatti episodici o peggio ancora ad un modo estemporaneo per sostituirli ad un’attività che, invece, dovrebbe essere propria dell’Ente locale.
A ben vedere il nuovo modo di amministrare sarà sempre più favorevole all’immagine del cittadino attivo come una risorsa che è sempre più disponibile ad investire tempo, energie e denaro per un concreto miglioramento di una comunità che desidera, dal canto suo, riscoprire i valori dell’economia reale. “A un agire economico orientato al solo profitto e all’interesse privato, occorre contrapporre un’economia attenta […] che miri alla messa in comune delle risorse, al rispetto della natura, alla partecipazione collettiva agli utili, al reinvestimento finalizzato a scopi sociali, alla responsabilità verso le generazioni future: fonte e guida della svolta necessaria in questo campo è il principio di gratuità in economia, […], vero fattore irrinunciabile di sviluppo per tutti” . Se mai questi principi, che sono poi alla base anche della Carta di Milano redatta in occasione dell’Expo 2015, divenissero a loro volta un “bene comune” di ogni italiano, probabilmente sarebbe più semplice considerare l’atto del “donarsi”, anche nell’ambito di un sistema complesso come quello della Pubblica amministrazione, come una forma di riscatto dall’indifferenza con cui abbiamo vissuto il nostro Paese, “nella complicità o nell’inerzia di un ceto politico locale e nazionale che – fatte le debite differenze tra chi ha varato condoni e chi no – non se l’è sentita di contrastare un uso dissennato del territorio diventato da decenni un costume di massa” .
Quello di cui abbiamo forse veramente bisogno è di recuperare una buona dose di umiltà, di quella vera e non quella che cela un certo desiderio di essere lodato dal prossimo per aver compiuto un gesto più o meno importante. L’Italia ha bisogno di una nuova classe di cittadini e di politici realmente umili a tal punto da considerarsi essi stessi marginali, ma non per questo non in grado di lasciare lo stesso un’impronta profonda nella vita del Paese.
di Mistral