Cominciamo dal bene comune come valore
L’Italia è il paese dei legami forti in grado di lasciare segni profondi sulla cultura di ognuno di noi. Nella sfera privata, per esempio, è noto che due giovani su tre, anche se lavoratori, preferiscono continuare a vivere nella casa di mamma e papà. All’inizio del 2015 l’Eurostat, riferendosi al periodo 2013, ha infatti rilevato che il 65,8% di giovani adulti tra i 18 ed i 34 anni preferisce vivere insieme ai genitori. Un cordone ombelicale che sembra essere difficile recidere.
Nella sfera pubblica, però, c‘è un altro legame non meno importante ed indissolubile: il rapporto tra Stato ed Enti locali.
I trasferimenti erariali dello Stato ai Comuni hanno sempre rappresentato per i bilanci comunali, soprattutto negli anni passati, una percentuale consistente che arrivava a coprire anche l’85% della spesa sostenuta dagli Enti Locali. Oggi questi trasferimenti correnti subiscono tagli sempre più importanti, a tal punto che nel periodo 2011-2014 i Comuni hanno potuto contare su minori entrate pari a – 35,77%, nel solo periodo 2013-2014 la riduzione percentuale dei suddetti tagli ha segnato, invece, un più consistente – 48,87%.
È evidente che è in atto una volontà del Governo Centrale di responsabilizzare i Comuni. Del resto, lo stesso articolo 119 della Costituzione richiama i concetti di autonomia finanziaria di entrata e di spesa nel rispetto dell’equilibrio dei bilanci.
Gli “effetti distorsivi e deresponsabilizzanti”, per usare un’espressione della stessa Corte dei Conti, che anni ed anni di copertura delle spese degli Enti Locali da parte dello Stato hanno ingenerato nel comportamento dei Comuni, ed aggiungerei anche in quello della politica e dei cittadini, si sono concretizzati in un processo di rallentamento della razionalizzazione della finanza locale, oltre che in una scarsa consapevolezza di dover conquistare quanto prima quell’autonomia auspicata dalla stessa Carta costituzionale.
In questo contesto in cui, per troppo tempo, il Comune ha potuto contare sulla certezza della copertura delle entrate, si è dimenticato quanto fosse importante il controllo delle spese e, soprattutto, la copertura finanziaria delle stesse di fronte ad un impegno assunto. I continui tagli delle spese hanno costretto i Comuni da una parte ad iniziare a ripianare il deficit strutturale e, dall’altra, non riuscendo più a far fronte neppure alle ordinarie e quotidiane necessità di una città, i Comuni hanno perso parte della relazione con il territorio ed i suoi cittadini. Una relazione che dovrebbe essere in grado, tra le altre cose, di assicurare una qualche forma di programmazione degli interventi di manutenzione, una qualità dei servizi, un sufficiente livello di immagine della città, in una sola parola una relazione nel nome della quale un’Amministrazione comunale, da sola, assicuri la cura del bene comune.
Il bene comune, funzionale al benessere individuale e collettivo, sembra compromesso se riferito al senso di competenza esclusiva dell’Ente locale, ovvero all’esercizio accentrato di potere di quest’ultimo. Il bene comune è tutto ciò che si vede (verde pubblico, piazze, decoro urbano, ecc.), ma anche ciò che non si vede (contrasto agli sprechi tramite la pratica del riuso, promozione del senso civico e della coesione sociale, aiuti ai meno abbienti, ecc.). In questo senso il bene comune non è solo un valore che riguarda l’interesse della comunità del presente, ma è anche un valore da tramandare alle comunità delle generazioni future.
Una possibilità di recupero della suddetta relazione tra i cittadini e l’Ente locale è oggi possibile attraverso lo strumento della sussidiarietà. Si tratta di una opportunità che spesso viene confusa con forme partecipative, per esempio la democrazia partecipativa e deliberativa, secondo le quali i soggetti sono inclusi nel processo di decisione pubblica. Al contrario, lo strumento della sussidiarietà orizzontale, così come previsto dallo stesso articolo 118 della Costituzione, si fonda sull’accoglimento di iniziative autonome, da parte di cittadini, che siano di interesse generale.
Soprattutto in questi momenti di crisi, i Comuni, che ovviamente non devono derogare a quelle che sono le loro responsabilità, dovrebbero cogliere più che mai le iniziative dei cittadini, anzi sarebbe opportuno che le promuovessero e le valorizzassero.
I cittadini, dal canto loro, cogliendo l’opportunità della sussidiarietà orizzontale, avrebbero modo per la prima volta di non “subire” la pubblica amministrazione come semplici utenti, ma diventare soggetti attivi che, insieme all’Amministrazione comunale, potranno prendersi cura dei beni comuni.
Quando il cittadino affronta problemi pubblici con senso di responsabilità e capacità organizzativa, o ancora quando questo slancio di civiltà diventa ricorrente ed implica la costituzione di associazioni di volontari che intendono occuparsi di specifici obiettivi, è allora che in una comunità si fa un passo in avanti e si può parlare di “cittadinanza attiva”.
In una società in cui la vita di ognuno di noi è spesso scandita da una gerarchia di valori che per molti si identificano nel “tutto e subito”, o “c’è sempre chi se ne occuperà al posto mio”, ecc. accade che si finisca per trattare la cosa pubblica secondo una logica “usa e getta”, anestetizzando, di contro, l’attenzione dei cittadini verso un interesse al bene comune, o meglio verso il piacere di indirizzare parte degli sforzi e del lavoro di questi alla costruzione di cose durevoli.
Ricorrere alla cittadinanza attiva contribuirà a passare dal “dire” al “fare”, ovvero da una discussione del problema ad una soluzione operativa e diretta del problema stesso. In altri termini si attiva una virtuosa sinergia tra Comune e cittadinanza secondo un’organizzazione reticolare in cui ogni cittadino può contribuire, con una propria soluzione, a risolvere i problemi della collettività.
Ad oggi in Italia 48 comuni hanno adottato il regolamento dei beni comuni ed altri 77 comuni hanno attivato la procedura per adottare il suddetto regolamento.
Tra i comuni virtuosi c’è anche Montesilvano che con Deliberazione del Consiglio Comunale del 26 marzo 2015 n° 27, ha reso operativo il “Regolamento sulla collaborazione tra i cittadini e amministrazione per la cura e la rigenerazione dei beni comuni urbani”. Un regolamento che ha trovato concordi tutti i consiglieri comunali a tal punto che qualcuno, durante la seduta comunale, ha elogiato l’iniziativa ricordando la famosa frase di J. F. Kennedy: “non chiedete che cosa il vostro paese può fare per voi; chiedete che cosa potete fare voi per il vostro paese”. Una frase storica ma anche così attuale se riflettiamo sul fatto che il regolamento approvato dal Comune di Montesilvano non è uno strumento per affrontare un periodo di crisi economica, politica e sociale incontrovertibile, ma soprattutto per ripartire proprio dalla crisi per avviare una collaborazione virtuosa con i cittadini quale alternativa possibile ad uno status quo che ha dimostrato di essere inefficace.
In questo senso il regolamento sulla collaborazione tra i montesilvanesi ed il Comune, approvato a Montesilvano, contiene, di fatto, la proposta di un nuovo modello di amministrazione condivisa che, ripartendo dagli errori delle modalità operative fino ad ora adottate, offre al cittadino un nuovo punto di vista dal quale guardare la relazione con l’Amministrazione comunale.
A tal riguardo, sempre più spesso, sentiremo parlare di piccoli gesti di volontari, come i cosiddetti “nuovi angeli” di Firenze, che si attivano per pulire i muri della città o potare le piante, oppure di profughi di Foligno impegnati nella pulizia delle pensiline degli autobus o lo sgombro della neve, o ancora dei genitori che trascorrono il fine settimana per ripulire gli ambienti scolastici dove trascorrono gran parte della giornata i loro figli, oppure del parrucchiere di Moncalieri che “adotta” un parco pubblico per ripulirlo e riportarlo a luogo vivibile per le famiglie ed i bambini, o ancora dei giovani di Trento che si sono offerti di progettare e rigenerare alcuni spazi urbani attraverso varie partecipazioni online ed offline, ecc.
È solo una parte di un elenco lunghissimo di atti spontanei che potrebbero aiutare anche un Comune come quello di Montesilvano non tanto a sostenere meno spese, quanto a ridargli una bellezza tangibile non come patrimonio individuale esclusivo, ma bene di tutta la Città. Una bellezza che si alimenta continuamente di progetti, di gesti, di saperi e di memorie di ognuno a beneficio di una comunità.
C’è un libro dal titolo L’uomo che piantava gli alberi di Jean Giono, che è la sintesi perfetta del senso che ispira il Regolamento sulla collaborazione adottato da Montesilvano. È la storia di un pastore che, abitualmente e gratuitamente, piantava alberi in un luogo desolato. Alla sua morte la collettività ebbe modo di toccare con mano il risultato di quel gesto generoso anche se apparentemente senza senso: quegli alberi formarono una foresta.
Chissà se anche i montesilvanesi sono pronti oggi a seminare piccoli gesti, per raccogliere un tesoro domani; di certo, diceva don Milani, “ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è politica. Sortirne da soli è avarizia”.
di Mistral