Corso Umberto, Area Centro: cronaca di un quartiere cancellato

Tra lavori “finiti” e disastri annunciati: panchine già rotte, parcheggi impossibili e commercianti allo stremo.

Nel cuore della città un quartiere un tempo vivo è oggi prigioniero di cemento, divieti e decisioni incomprensibili. I cittadini: «Siamo esasperati».

di Miriam Severini

Chiamate la Protezione Civile, i Vigili del Fuoco e – perché no – anche un’équipe di psichiatria urbana.
Perché quanto è accaduto in pieno centro, nella zona di Corso Umberto, meriterebbe uno studio approfondito sul dissesto non solo stradale, ma anche logico e civico.

I lavori sono terminati, ma il risultato è desolante: panchine già rotte, dissuasori piazzati come trappole e automobilisti che girano impazziti nel tentativo di capire da dove si entri in un parcheggio dove neanche un trattato di algebra riuscirebbe a spiegare quale sia l’ingresso.

Un tempo c’era “Il Delfino”, fornitore di pesce freschissimo: oggi irraggiungibile.
Un negozio di abbigliamento: sparito dietro transenne e divieti.
Un laboratorio di analisi? Introvabile.
Una cartoleria, un bar, una sede ACI, perfino una farmacia – punti di riferimento per tanti cittadini – oggi off-limits, risucchiati in un limbo di barriere invalicabili e scelte amministrative che definire discutibili è un eufemismo.

E allora una domanda sorge spontanea: ma perché tanta cattiveria?

Gli ormai celebri panettoni di cemento, che colpiscono le auto come trappole urbane punendo chi osa raggiungere la piazzetta, sono forse una forma di vendetta?
O c’è, sotto sotto, un tacito accordo con qualche carrozziere della zona?

Perché tutta questa violenza urbana?
Si vuole punire un quartiere abitato da contribuenti infedeli? O, magari, da cittadini colpevoli di aver votato “nel modo sbagliato”?

Il sospetto c’è, l’ironia non basta più.

Chi vive, lavora o semplicemente attraversa Corso Umberto si trova ogni giorno a fare i conti con disagi reali: attività economiche al collasso, servizi inaccessibili, residenti disorientati e sempre più esasperati.

Durante una chiacchierata con i farmacisti della zona – che resistono eroicamente nella piazzetta ormai quasi irraggiungibile – emerge un dato allarmante: hanno perso il 30-40% del fatturato.
I medici del vicino poliambulatorio sono disperati: l’impossibilità di parcheggiare o fermarsi ha allontanato decine di pazienti. Ora si valuta seriamente di trasferire altrove anche quelle attività.

In questo quadro già drammatico aleggia il ricordo di un incidente mortale, legato proprio alle condizioni di transitabilità mostruose della zona. Nessuno ne parla, nemmeno chi lo ha vissuto da vicino. Ma è successo. E il silenzio è solo un’altra forma di abbandono.

Non è solo una questione di lavori pubblici.
È la perdita di un tessuto sociale, di un’identità cittadina.
E mentre si asfaltano strade, si smantellano relazioni, abitudini, comunità.

Il semaforo di Viale Europa – uno dei più “redditizi” per il Comune in termini di multe e punti patente – è oggi improvvisamente inutile: non si può più girare.
Forse qualcuno non ha valutato le conseguenze delle nuove chiusure e deviazioni.
O forse, peggio, ha scelto di ignorarle.

Nel frattempo, i cittadini si chiedono:
davvero si può immaginare che un simile scempio passi impunito?
Davvero dobbiamo subire tutto questo senza indignarci? Senza alzare la voce?

No. È ora di reagire.
Di organizzarsi, di raccogliere testimonianze, foto, storie: una class action civica, fatta anche di parole, per restituire dignità, accessibilità e buon senso là dove oggi regnano solo confusione e abbandono.

Chi ha deciso questi interventi dovrebbe almeno avere il coraggio di chiedere scusa.
E chi li ha subiti, ricordarselo bene.
Soprattutto in vista delle prossime elezioni.

 

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