Intervista a Fabio Florini autore di Damnato memoriae

di Gabriella Toritto

 È stato pubblicato da poco, luglio 2024, “Damnatio memoriae. Mani Pulite e i processi a Bettino Craxi” – Ed. LibertatesLibri – scritto dal giornalista Fabio Florindi e dall’avvocato cassazionista Roger Locilento.

Il saggio ricostruisce in modo attento e documentato quella pagina di storia che paralizzò l’Italia, ne capovolse il destino attraverso inchieste e procedimenti giudiziari che i due autori scandagliano, facendoci rivivere l’atmosfera plumbea che avvolse Milano e l’Italia nel 1993.

La “Damnatio memoriae” è una pratica che risale a tempi antichi e consiste nella deliberata cancellazione di opere e monumenti dei predecessori politici condannati. Come dire: “la Storia la scrivono i vincitori…” E i vincitori furono i pubblici ministeri di Mani Pulite. Che il sistema fosse colluso e corrotto era risaputo ma pochi pagarono per tutti.

La “Damnatio memoriae” è stata deliberatamente applicata anche allo statista Bettino Craxi, politico determinato, energico (si ricordi la crisi di Sigonella nel 1985), pertanto figura controversa, che dall’agosto del 1983 agli inizi del 1987 guidò due governi di coalizione di centrosinistra e che nel febbraio del 1993 si dimise da Segretario del Partito Socialista Italiano, essendo stato coinvolto nelle inchieste giudiziarie su Tangentopoli.

Il giornalista Fabio Florindi e l’avvocato Roger Locilento, autori di “Damnatio memoriae. Mani Pulite e i processi a Bettino Craxi”, attraverso uno studio protrattosi per oltre un anno di lavoro, hanno ripercorso quei terribili mesi della storia d’Italia, costellati da perquisizioni, arresti, inquisizioni, condanne, suicidi, vagliando le carte processuali al di là di ogni pregiudizio ideologico e hanno riscritto la narrazione su Mani Pulite.

Già molti mesi fa Luciano Violante, presidente emerito della Camera, in un’intervista su “Il Riformista” affermava che se il suo partito non avesse demonizzato il leader socialista Craxi, sarebbe cambiato il corso della storia d’Italia e non saremmo arrivati a “fare dell’Italia il laboratorio di mostri e scempi politici”…. “avremmo avuto una sinistra socialista liberale alla guida del Paese e Nanni Moretti non avrebbe detto che ‘con questi dirigenti non vinceremo mai, ci vorranno generazioni prima che il centrosinistra torni a vincere”.

Violante, che resta uno dei protagonisti di quella stagione in cui furono minate le basi della Prima Repubblica, afferma che la “sinistra confuse la questione morale e la questione giuridica”.

“Cuore caldo, mente fredda e mani pulite”: attraverso le inchieste furono screditate le basi della classe dirigente italiana e le strutture dei partiti, le quali avevano pur dato al Paese democrazia, libertà e sviluppo economico.

Mani Pulite nacque con Tangentopoli, termini con i quali si fa riferimento ad una serie di inchieste condotte da varie procure giudiziarie d’Italia , in primis e in particolare Milano. Le inchieste furono guidate da un Pool di magistrati e pubblici ministeri. Fra loro qualcuno usò metodi “eccessivamente inquisitori” ed ebbe velleità politiche (come più tardi si capì e come risaputo all’interno della stessa Magistratura).

In “Damnatio memoriae. Mani Pulite e i processi a Bettino Craxi” il giornalista Fabio Florindi e l’avvocato Roger Locilento analizzano le carte processuali e scoprono che non c’è un solo documento che accusi il leader socialista Bettino Craxi. Tutte le sentenze di colpevolezza, a Craxi destinate, arrivarono da testimonianze rese da soggetti coimputati, i quali avevano tutto l’interesse a ridimensionare le proprie colpe. In tanti poi si avvalsero di una legge dell’epoca la quale consentì loro di riferire le accuse soltanto ai pubblici ministeri. In tal modo la difesa non poté contro-interrogarli. E fu così che il leader del Partito Socialista Italiano fu stigmatizzato. Ciò comportò nel 2002 per il nostro Paese la condanna da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo in merito allo svolgimento del processo Eni-Sai, in cui Craxi fu coinvolto.

Il leader socialista, politico di quel tempo, affermò pubblicamente che il finanziamento illecito ai partiti era una prassi certamente sbagliata ma di averla accettata poiché condivisa da tutti i partiti dell’arco costituzionale. Rigettò ogni accusa di corruzione e concussione.

E riportando alcuni stralci, così scrisse la Corte d’Appello di Milano che confermò la condanna nel processo della Metropolitana Milanese: “Si può anche dar atto a Craxi che in questo processo non è risultato né che abbia sollecitato contributi al suo partito né che li abbia ricevuti a sue mani, ma questa circostanza – che forse potrebbe avere un qualche valore da un punto di vista per così dire estetico – nulla significa ai fini dell’accertamento della responsabilità penale”.

Successivamente la Cassazione definì che “la prova della attribuibilità di singoli fatti storici (in ipotesi costituenti reati) a un determinato soggetto può essere ricavata anche da argomentazioni logiche”. Di qui la definitiva condanna.

1.D.: Dottor Florindi, com’è nata l’idea di rispolverare le carte processuali sulle condanne al leader del Partito Socialista Italiano, Bettino Craxi?

1.R.: La avevo in testa già da un po’ di tempo. Visto che Roger è un avvocato cassazionista, per fare un lavoro accurato mi sono rivolto a lui e ha accettato subito.

2.D.: Come avete diviso la mole di lavoro e lo studio di tanto carteggio?

2.R.: Ovviamente io ho curato più il contesto storico, lui la lettura delle carte processuali. Ma c’è stata una “contaminazione” positiva, per cui ci siamo sempre confrontati su tutto.

  1. D.: Durante il vaglio dei documenti processuali che cosa ha stupito di più lo storico Fabio Florindi e che cosa maggiormente il legale Roger Locilento?

3.R.: La stessa cosa. Che in un paese democratico, come formalmente era l’Italia negli anni ’90, si siano potuti sviluppare processi di quel tipo.

4.D.: Quali, secondo Voi autori, possono essere ora gli esiti di tanto lavoro sulla storia del nostro Paese?

  1. R.: Se dobbiamo essere onesti, ben pochi. Sono informazioni che non arriveranno al grande pubblico che legge poco e niente. Facciamo un esempio che calza a pennello: nel 2010 Filippo Facci scrisse una biografia su Antonio Di Pietro. Non successe nulla. Tre anni dopo, la trasmissione televisiva Report fece una puntata riportando in sostanza quello che aveva scritto Facci tre anni prima. Venne giù il mondo, quando invece all’uscita del libro non si mosse una foglia.

 

Alessandro Manzoni ebbe a scrivere di Napoleone Bonaparte: “Ai posteri l’ardua sentenza.”

Lascia un commento