Beatrice ed Elena, mogli di Manfredi, figlio di Federico II di Svevia

  di Gabriella Toritto

Manfredi nacque dalla relazione fra Federico II di Svevia e Bianca Lancia. Fu amato e stimato. Si contraddistinse per le ottime doti intellettuali nonché per la bellezza fisica. Gli furono riconosciute le più nobili virtù sebbene i nemici di casa Sveva lo accusarono di terribili vizi.

Amò la vita festosa e le arti, specialmente la poesia e la musica, le quali gli fruttarono molti sostenitori. Manfredi fu l’unico figlio di Federico II che sia stato vicinissimo al padre. Lo assistette anche negli ultimi giorni di vita.

Intorno al 1248, poco prima che l’imperatore, suo padre, morisse, Manfredi sposò Beatrice, figlia del conte Amedeo IV di Savoia, vicario imperiale di Federico in Italia. La sposa era già vedova del margravio di Saluzzo, sposato per motivi politici. Grazie alle nozze, Manfredi, già nominato dal padre Principe di Taranto, ricevette un vasto territorio, compreso fra Genova, Pavia e le Alpi, collegamento strategico fra l’Italia e la Terra di Francia.

Il matrimonio ebbe luogo in Piemonte. Vi partecipò anche Federico II che in quel momento aveva raggiunto un equilibrio politico che avrebbe dovuto consentirgli di governare con tranquillità rispetto al periodo precedente, alquanto turbolento e travagliato.

Dall’unione fra Manfredi e Beatrice nacque Costanza, unita in matrimonio all’infante Pietro d’Aragona contro la volontà del Papa.

Beatrice morì alcuni anni dopo il matrimonio. Non ebbe un ruolo di rilievo nell’ambito della dinastia, tuttavia rimase sempre al fianco del consorte con dignità e decoro. Morì quando Manfredi era già impegnato nella lotta contro Carlo d’Angiò per il dominio della Sicilia. La lotta era iniziata già nel 1254 dopo la morte di suo fratello, Corrado IV, erede e successore di Federico II, e quando Corradino, suo nipote, aveva soltanto due anni.

Morta Beatrice, nel 1259 Manfredi sposò in seconde nozze Elena, giovanissima, primogenita del despota di Epiro, Michele II degli Angeli, e di Teodora dei Pietralife. Le nozze di Manfredi ed Elena furono importanti per le ambizioni che gli Svevi avevano verso Bisanzio.

La cerimonia nuziale fu celebrata a Trani con grande sfarzo a tal punto da colpire l’immaginario dell’autore anonimo di una cronaca locale, il quale narra che: ”se foro grani feste et suoni et la sera foro facti tanti allumiere et tanti fanò in tutti i cantuni della nostra terra che paria che fosse die”.

Elena pagò a caro prezzo il matrimonio con l’erede della dinastia sveva; non fu fortunata poiché il marito Manfredi, sconfitto da Carlo d’Angiò nella battaglia di Benevento nel 1266, vi trovò la morte a 32 anni. Da quel momento per lei iniziò una dolorosa odissea poiché oltre che essere consorte di Federico II, era anche figlia del despota epirota e fu vittima di una delle vicende più tragiche e dolorose della fine della dinastia staufica o sveva.

Elena fu posta da Manfredi al centro della vita di corte, mentre Federico II tenne le sue consorti lontano dagli eventi pubblici e politici. Sicché ella prese anche iniziative relative alla famiglia reale e alla figliastra Costanza, sposata con Pietro III di Aragona. Da ciò si deduce che Elena abbia avuto una sua statura politica e non volle passare inosservata.

Dopo il matrimonio Manfredi condusse la giovane sposa in visita attraverso le città, i castelli, i feudi del regno. Egli fu attratto non soltanto dalla vita frivola e spensierata di Corte, ma si dedicò, come suo padre Federico, alle scienze e alle lettere, costruì opere pubbliche, come i porti di Salerno e di Manfredonia, e seguì personalmente gli affari interni dello Stato. Si dedicò all’azione politica volta a trovare un impossibile accordo con i papi Urbano IV e Clemente IV, i quali con l’appoggio di Carlo d’Angiò, da loro chiamato in Italia, disposero irrimediabilmente il crollo della casata imperiale, tanto che Manfredi, sconfitto da Carlo, morì a Benevento.

Due giorni dopo la morte il suo cavallo fu riconosciuto mentre vagava ancora sul campo di battaglia coperto di neve. Infine fu trovato anche il cadavere di Manfredi, profanato e derubato, con ferite mortali al petto e in testa. Si racconta che un asinaio, dopo averlo posto sulla groppa di un asino, gridasse con scherno: “Chi vuole comprare Manfredi?”

Il sovrano, poiché era stato scomunicato, fu sotterrato nei pressi di un ponte sul fiume Cadore.

La regina Elena era già rifugiata nel castello saraceno di Lucera, presso Trani, quando apprese la notizia ferale. Svenne. Quando si riprese, era già stata abbandonata dai nobili e dai servitori che fuggirono, temendo la vendetta di Carlo d’Angiò.

Aiutata dagli ultimi due servitori rimasti accanto a lei, la sfortunata Elena decise di fuggire verso l’Epiro con i suoi quattro figli ma il vento avverso dell’Adriatico impedì la partenza del battello. Elena allora si pose sotto la protezione del Castellano di Trani. Purtroppo alcuni monaci questuanti, che attraversavano il paese al servizio di Carlo d’Angiò, la riconobbero e persuasero il castellano al tradimento.

Nel marzo del 1266 Elena fu consegnata ai cavalieri dell’Angioino e fu tenuta prigioniera presso Trani. Aveva con sé i propri figli: Beatrice di sei anni, Enrico di quattro e i più piccoli Federico e Angiolino, rispettivamente di tre e due anni. La figlia Costanza era lontana da quei luoghi e poté salvarsi. Dal castello di Trani, dove sette anni prima era stato celebrato il suo matrimonio, Elena, privata dei figli che non avrebbe mai più rivisto, fu condotta a Lagopesole, presso Carlo d’Angiò.

Lagopesole fu la più grande costruzione difensiva di Federico II, iniziata nel 1242. In quella località, dove Elena aveva vissuto giorni pieni di gioia accanto al marito Manfredi, si ritrovò di fronte allo spietato nemico del marito. Si narra che Carlo prese in considerazione l’eventualità dei matrimoni, per lui vantaggiosi, di Elena come pure della figlia Beatrice. Per questa ragione successivamente le tenne in più mite prigionia nel Castel dell’Ovo presso Napoli. Mentre i tre fratellini furono rinchiusi a Castel del Monte, isolati dal mondo e legati alla catena come animali.

Passarono diciotto anni prima che Beatrice venisse liberata; gli altri suoi fratelli continuarono la loro vita di prigionieri anche quando anch’essi furono trasferiti a Castel dell’Ovo. Solo Enrico, fuggito nel 1318, vagò in diverse zone senza che nessuno volesse accoglierlo. Si ritrovò in Egitto, stanco per la vecchiaia e ormai cieco, come ci tramanda Giovanni Villani nella sua Cronica.

Una lettera di Carlo d’Angiò al castellano Radulfo de Faiello attesta che nel marzo del 1267 Elena era ancora prigioniera nella Rocca di Nocera. Le era stato concesso di tenere con sé una parte della servitù e dei beni. Per le spese correnti le furono concesse 40 once d’oro l’anno, che le consentirono di mantenere decoro e agiatezza. Infatti sia lei sia i suoi familiari disposero di vesti preziose, tappeti, scrigni, suppellettili di vario genere e altri oggetti che probabilmente erano parte dei suoi precedenti arredi quotidiani.

Durante la prigionia Elena ebbe forse notizia della discesa in Italia del nipote Corradino, della sconfitta di Tagliacozzo e della conseguente sua decapitazione a Napoli. Questo ennesimo dolore, accanto a quello vivissimo per la sorte dei figli, deve averla consumata. Dopo cinque anni di segregazione morì nel 1271 alla giovane età di 29 anni.

Sappiamo che l’11 marzo, dopo la scomparsa della regina, i familiari, le damigelle, la servitù, furono tutti rimessi in libertà, mentre non si conosce il luogo della sua sepoltura.

Elena fu una sovrana molto sfortunata. Ebbe in sorte solo pochi momenti di felicità, intervallati da grandi sventure.

Non è possibile tracciare un suo profilo politico tuttavia i pochi elementi a disposizione consentono di evidenziare il carattere molto dignitoso di una sovrana che non perse mai la consapevolezza del ruolo che rappresentava anche quando la sorte avversa le tolse il trono, il consorte, i figli, e mai, durante i lunghi anni di detenzione e di privazione, le venne meno il coraggio.

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