Mater matuta

  di Gabriella Toritto

Nel nuovo polo culturale “Imago Museum”, Museo d’Arte Moderna e Contemporanea di Pescara, promosso dalla Fondazione Pescarabruzzo, c’è “lei”, “Mater matuta”, straordinario ciclo pittorico, quasi sconosciuto, del grande maestro Mario Schifano, presenza unica ed irripetibile, esposta per la prima volta in abbinamento a sei sculture di Matres, datate intorno al III e IV secolo a.C..

I capolavori sono lì. Osservati da lontano, nella prospettiva del corridoio che ne consente l’accesso, evocano qualcosa di grandioso. Sembrano una cattedrale.

La policromia dei pannelli, assieme al sapiente gioco prospettico dell’allestimento, colpisce ed emoziona. Quindi si accede nella sala della sacralità, della Vita che si perpetua in eterno. “Mater Matuta” evoca il mito primordiale della Vita: la “Madre”, l’eterno assoluto, che abbraccia nel suo grembo l’intera declinazione di simbologie legate alla nascita dell’uomo al di là di ogni tempo e di ogni luogo.

Mater Matuta” è l’antica divinità romana venerata come dea dell’aurora, protettrice delle partorienti, con Giano pater matutinus. In suo onore si celebravano l’11 giugno le Matralie, alle quali partecipavano le matrone che avessero avuto un solo marito. A Roma le era dedicato un tempio nel Foro Boario.

La dea Aurora è dunque la Grande Madre, generatrice di vita, partoriente, fecondatrice, divinità del mattino da cui prende vita il giorno, nonché il titolo stesso del ciclo pittorico: “Mater Matuta”, che trascende il flusso della storia realizzandosi come mito immutabile ed eterno.

Le sei sculture di Matres, datate intorno al III e IV secolo a.C., sono reperti conservati a Capua, luogo della memoria delle origini. Destano sentimenti ed emozioni sacre. Le sei Madri in tufo sembrano conservare nel loro “sacro silenzio” la voce di un mondo primordiale, che, ancora palpitante, attraverso le varie epoche e religioni, è giunto fino a noi.

Si resta ammirati nella loro contemplazione. Le sei sculture di Matres sono di fattura arcaica, tipica di un mondo semplice e naturale. Nell’osservarle si comprende la gratitudine che l’uomo provò nei confronti della Madre Terra, in cui riconobbe la sua identità di essere vivente.

Deve essere stato il fascino misterioso e inspiegabile che le statue suscitano a risvegliare sublimi sentimenti e affetti in un artista come Mario Schifano.

Il ciclo pittorico “Mater Matuta” fu eseguito tra il 1995 e il 1996, su commissione specifica del mecenate Domenico Tulino e in seguito acquisito dalla Fondazione a lui dedicata.

Renzo Colombo, segretario storico del pittore, ricorda: “Non era la prima volta che il Maestro – Schifano – eseguiva un ciclo su commissione ma il suo incontro con Domenico Tulino ebbe qualcosa di speciale in quanto l’iniziale rapporto economico si trasformò in un’autentica ricerca artistica”.

Anche la moglie dell’artista, Monica De Bei Schifano, si sofferma su quel periodo così particolare, affermando: “Quando Domenico Tulino invitò Mario alla Missione vicino ad Asmara in Eritrea, dove sua sorella, Suor Pina, accoglieva bambini abbandonati, Mario accettò e partì. Rimase una settimana; una settimana fuori dal suo studio – lui che da anni non usciva mai, né partiva mai – senza la televisione, senza i quotidiani, senza le sostanze. Senza niente, solo con i suoi sentimenti, solo con le sue emozioni”.

Pierluigi Amen, storico dell’arte, ha scritto: “L’intera rappresentazione del ciclo è un inno alla vita, l’aurora della maternità e la sua espressione nel procedere del cammino umano fino a giungere ai nostri giorni. Ciò che racconta Schifano è intrinseco in ognuno di noi: tornare alle origini, riconoscersi nell’altro in quanto tutti figli della grande madre, come bimbi nelle braccia delle matres matutae, che sono accoglienti per tutti, senza distinzioni sociali e per l’intero corso del tempo”.

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Mario Schifano nacque a Homs, città della Libia, allora italiana, il 20 settembre 1934.

Dopo la fine della guerra tornò a Roma dove, a causa della sua personalità irrequieta, lasciò presto la scuola, lavorando in un primo momento come commesso, per poi seguire le orme del padre, che lavorava presso il Museo Etrusco di Villa Giulia come archeologo e restauratore, precedentemente responsabile degli scavi a Leptis Magna in Libia.

Grazie a tale esperienza si avvicinò all’arte eseguendo, in un primo periodo, opere che risentivano dell’influenza dell’Arte informale.

Esordì nel 1960 con una mostra, presentata da Pierre Restany, alla Galleria La Salita di Roma, Cinque pittori romani: Angeli, Festa, Lo Savio, Schifano, Uncini.

Mario Schifano, assieme a Franco Angeli e Tano Festa, rappresentò un punto fondamentale della Pop art italiana ed europea. Perfettamente inserito nel panorama culturale internazionale degli anni Sessanta, era reputato un artista prolifico, esuberante ed amante della mondanità.

L’abitudine alle droghe, che durò per tutta la sua vita, gli valse l’etichetta di artista maledetto.

Attirò ben presto l’interesse della critica realizzando quadri monocromi che offrirono l’idea di uno schermo fotografico che in seguito accolse numeri, lettere, segnali stradali, i marchi della Esso e della Coca Cola. Firmò un contratto in esclusiva con la gallerista americana Ileana Sonnabend.

Le sue mostre personali furono allestite a Roma, Parigi, Milano, New York. Ricevette numerosi riconoscimenti.

Nel 1963 compì il primo viaggio negli Stati Uniti dove frequentò Frank O’Hara, Jasper Johns, Andy Warhol, conosciuto grazie a Ileana Sonnabend, sua fidanzata.

Morì a 63 anni il 26 gennaio 1998, dopo un infarto cardiaco nel suo studio di via delle Mantellate a Trastevere.

La sua ampia a smisurata produzione pittorica è oggi rappresentata dall’Archivio Mario Schifano, fondato nel 2003 dai suoi eredi.

Fonte: sito https://marioschifano.it/biografia/

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