L’Incertezza del domani

Pezzo scritto a metà settembre e non pubblicato sul numero di settembre per mero errore materiale, poiché continua ad essere di attualità lo pubblichiamo scusandoci con Pasquale.

di Pasquale Sofi

Italiani brava gente… così recitava il titolo di un film del 1964 che cercava di riabilitare una pessima nomea dell’italiano medio diffusa soprattutto oltrecortina e di giustificare, al contempo, un approccio differenziato a livello nazionale alla sinistra europea, a quel tempo rappresentata dall’URSS. Oggi in Italia l’acredine politica tra i partiti non è da meno di allora e, sebbene le finalità ideologiche che li separano non siano più quelle di quel tempo, trovano comunque il modo di accapigliarsi anche per banalità, visto che ai bisogni propagandati dalle ideologie si sono sostituiti gli interessi delle lobby. Ci si compatta per la nazionale di calcio, si inneggia agli eroi sportivi nazionali, ma si è sempre divisi sulle cose concrete, quando non le si ignorano come se fossero di competenza altrui. Ciò è dovuto principalmente all’assenza di una coscienza unitaria capace di dare un senso e una visione a un agire quotidiano proiettato verso il futuro.

Abbiamo gridato ai quattro venti che dopo la pandemia tutto non sarebbe stato più come prima: ci sarebbe stata una rivoluzione verde, un’altra digitale e chissà cos’altro ancora, ma tutto sembra ricalcare schemi ormai vetusti e a ogni minima parvenza di novità scatta l’abituale arrocco. È mai possibile che dopo sessant’anni ci tocca ancora assistere ai soliti rituali di matrice sindacale con proteste incivili tipo il blocco delle ferrovie o quello delle autostrade, utili solo a procurare danni ad altri lavoratori e ad altre aziende? Non sarebbe più opportuno prevedere eventi di crisi (anche tramite un ministero ad hoc) e favorire per tempo una soluzione, magari anticipandone le contromisure fin dal primo contratto di lavoro? Macché! Le parti sociali pretendono sempre e in ogni occasione di avere un ruolo deliberativo che poi non è diverso dalla solita richiesta di acquisire potere. Senza pensare che le iniziative volte a mantenere in vita aziende ormai infruttuose spesso si rivelano inutili oltre che dannose. E non sono poche quelle che durante il lockdown sono sopravvissute solo grazie a rimborsi e sussidi, mentre tra qualche tempo saranno costrette a portare i libri contabili in tribunale. A che servono gli istituti professionali quando devono solo fungere da duplicato dell’istruzione tecnica mentre potrebbero diventare elemento di flessibilità formativa per i lavoratori per ridurre così i licenziamenti e consentire ad aziende obsolete di riciclarsi in altre produzioni? Fino a quando dovremo mantenere la nefasta produzione della plastica? Per non parlare della scuola che annovera l’ennesimo ministro che sembra un chierichetto, mentre nel settore servirebbe un leader deciso, sorretto da una maggioranza coesa e capace di tenere lontani i sindacati da scelte che con loro, come testimonia il passato, non farebbero certo l’interesse della comunità. Con l’offerta formativa scolastica attuale poi, dove crediamo si possa arrivare? E la didattica? Tutti ne parlano con sicumera ma nella scuola italiana non esiste o quasi. Si spaccia per didattica la comunicazione a distanza e la si demonizza senza pensare che è stata creata dai nativi digitali ovvero dai giovani, e sarebbe uno strumento motivante per loro se integrato a didattiche autentiche dalle quali però la scuola italiana è piuttosto lontana. Ma la carenza più grave della formazione è la quasi assenza nei percorsi formativi della capacità di scelta, che rappresenta l’apice del processo di apprendimento. Capisco che si tratta di discorsi tecnici per addetti ai lavori, ma quando si legge che il Parlamento vorrebbe anticipare la maggiore età ai sedicenni, il problema emerge in tutta la sua evidenza, con il grave rischio che il voto sia determinato dai like e dai sondaggi, con i social sempre più propinatori di manipolazioni attraverso messaggi subliminali e fake news. Provate un po’ a riflettere da quali settori politici arrivano tali proposte… .

La politica è la scienza del governo di uno Stato e ne determina le dinamiche sociali. Ciò avviene interagendo con gli Stati amici e osservando e riflettendo sulle mutazioni che intervengono nel resto del mondo, con il fine di ottimizzare la qualità della vita dei cittadini attraverso la soddisfazione dei loro bisogni. Ebbene, i nostri politici usano un percorso diverso: oggi non essendoci più le ideologie politiche a dettare scopi e percorsi, sostituiscono alla soddisfazione dei bisogni dei cittadini quelli dei potentati economici, innalzando bandierine politiche funzionali solo ad acquisire consensi per il raggiungimento e il mantenimento del potere. I nostri politicanti, inoltre, sono diventati maestri nell’ignorare con disinvolta indifferenza bisogni evidenti, oppure nell’aggirarli distogliendo da questi l’attenzione e orientandola verso banalità opportunamente enfatizzate. Dovrebbero andare di pari passo l’innovazione digitale e la sicurezza informatica, vera spina nel fianco di tutti gli Stati: sarà questo un problema prioritario internazionale e noi abbiamo manifestato la nostra impreparazione con l’hackeraggio subito di recente dalla piattaforma sanitaria della regione Lazio; è tuttavia confortante che il Governo italiano possa annoverare una garanzia assoluta nel settore, il ministro Colao. Ma il nostro problema è un’ancestrale avversione generale per la scienza (il che giustifica in parte l’alto numero di no vax) dovuta principalmente a una formazione che vede gli studi umanistici socialmente sempre più celebrati. Un dottore in lettere oggi è considerato un uomo di cultura, qualificazione che difficilmente viene concessa a un laureato in astrofisica, sebbene tra le due lauree passi un oceano di complessità. Non mi risulta a tal proposito che gli studenti in India, Cina, Stati Uniti, Corea, senza citare altri stati europei, studino latino e greco… . Mi ripeto: la ricchezza di un paese nasce dal valore della scienza che vi si pratica (in qualità e quantità) e ogni “cervello” sottratto alla scienza è un piccolo attentato al bene nazionale. Da noi il Liceo Scientifico è solo una scuola di moda, ma è fondamentalmente teorica e i laboratori scientifici, anche quando sono presenti, non facilitano, come dovrebbero, l’orientamento universitario degli studenti verso le discipline scientifiche; prova ne è che all’università il 40% dei maturati di questo liceo, piuttosto che quelle sperimentali, vanno a privilegiare le scienze sociali.

Per guardare avanti e procedere nell’innovazione, l’avere un leader come Draghi è una fortuna insperata. Il peso internazionale del Presidente del Consiglio è sotto gli occhi di tutti, ma che succederà se giustamente vorrà aspirare al Colle? Avremo governi di mezzecalzette capaci solo di curare interessi di bottega e contestualmente e manifestare una evidente allergia verso una visione utile a collocare l’Italia in uno scacchiere internazionale credibile. In Europa il M5s è diventato un partito europeista in tutte le sue componenti? Oppure qualcuno al suo interno vagheggia ancora un connubio con i gilets jaunes francesi? Salvini con la Lega poi, ha rotto i legami con la Le Pen? Per tacere delle simpatie da loro manifestate a livello extraeuropeo: i primi con la Cina, gli altri con la Russia (a proposito di quest’ultima, le inchieste inerenti ai suoi rapporti con la Lega sono state, alla chetichella ovviamente, sotterrate?). Un caso a parte invece è rappresentato da Fratelli d’Italia, perché rappresenta uno dei termometri che segnano la maturità politica degli Italiani. Innanzitutto la sua effervescente leader Giorgia Meloni ha intelligentemente capito (come aveva fatto la Lega già a livello territoriale) che gli Italiani sono più propensi a sostenere chi è contrario piuttosto chi è propositivo (d’altronde da sempre è più facile distruggere che costruire) e che di conseguenza stare all’opposizione paga maggiormente: basta mettere una zeppa e contestare tutte le iniziative del Governo… . Ma la stessa Meloni è leader europea di un movimento che annovera quasi l’intero gruppo di Visegrad: ovvero gli stati che in Europa contestano e si oppongono a tutte le iniziative dell’Italia. Complimenti vivissimi… .

La leadership di Draghi in questo momento non fa solo la fortuna dell’Italia ma giova anche all’Europa, che si accinge a salutare Angela Merkel e si presenta agli occhi del mondo in tutte le sue fragilità, aggravate dalla Brexit, nel tragico momento del ritorno dei talebani a Kabul.

Il colpo di coda avviato da Trump e maldestramente concluso da Biden in Afganistan rischia di stravolgere tutti gli equilibri mondiali con ripercussioni future dagli esiti imprevedibili. I talebani, già da subito, stanno confermando tutte le paure, le credenze e l’inaffidabilità che i timori della popolazione locale paventavano, mentre Cina e Pakistan si sono precipitate ad aprire i canali diplomatici con quelli che oggi risultano essere i vincitori della guerra ventennale voluta da Bush. Le motivazioni della guerra furono principalmente indotte dalla lotta al terrorismo contro Al Quaeda e successivamente anche contro l’Isis; ma nei suoi sviluppi il popolo Afgano, pur manifestando una costante avversione contro i talebani (alcune tribù del nord in una fase iniziale hanno perfino collaborato militarmente con le forze occidentali), ha sempre considerato quella straniera una vera e propria occupazione. Fondamentalmente perché le regole d’ingaggio delle forze in campo erano disomogenee: Inglesi e Americani agivano come se si trovassero in un autentico fronte di guerra mentre i compiti di Italiani e Tedeschi erano quelli di preparare l’avvio di un periodo di pace: si occupavano principalmente di addestramento militare e formazione (attività di peacekeeping). Una cosa è certa, come i vietnamiti ieri a Saigon, oggi i talebani entrando a Kabul hanno rinforzato, nella comunità internazionale, l’idea che gli americani sanno solo bombardare ma non risolvere un conflitto. E questa è un’idea di debolezza che si rafforza e può rappresentare un pericolo per il futuro soprattutto per l’Europa; e non solo perché si temono migrazioni massicce verso l’occidente e la ripresa del terrorismo su larga scala, ma anche perché le alleanze future potranno indurre ad assetti diversi e tumultuosi. La Cina ad esempio è interessata alle terre rare, materie essenziali nei processi elettronici, presenti in Afganistan di cui già detiene il possesso del 90% mondiale. E mentre si attendono le mosse di Russia e Turchia ci si interroga sul ruolo che potrebbe svolgere l’India, stretta nella morsa di Cina e Pakistan.

Purtroppo ha prevalso il populismo americano che si pensava fosse solo nella mente e nelle idee di Trump, mentre oggi si incrinano le certezze illusorie di Biden. Ormai è chiaro che gli Stati Uniti non hanno più gli stessi interessi di un tempo: lo squallido “usa e getta” dei Curdi da parte di Trump trova un prosieguo negli Afgani con Biden, ed è tempo che l’Europa ne prenda atto. Ciò non vuol dire che noi si debba abbandonare l’alleanza Atlantica, anzi è tutt’altro, è tempo ridefinirne gli assetti nello scacchiere mondiale; mentre è diventato improcrastinabile, quello di dare all’Europa non solo una struttura politica ancor più coesa in una visione comune, ma anche e soprattutto una dimensione militare, principalmente nel tentativo di recuperare in tal modo l’intera Gran Bretagna.

Su questa nuova Waterloo americana ci conforta che in Afganistan sia stato seminato il seme della libertà, che si è radicato con forza soprattutto nelle donne. Bene fa Draghi a muoversi da leader europeo puntando sui diritti umani come collante (il G20 a guida italiana è alle porte), contattando i paesi (Russia compresa) capaci di porre un freno allo strapotere orientale che limiti il radicalismo islamico. Tutto ciò mentre il politichese nostrano è tutto impegnato in un chiacchiericcio inutile; si pensa, infatti, ignorantemente, che essendo l’Afganistan un paese lontano questi siano problemi la cui soluzione spetta ad altri trovare, mentre con le amministrative alle porte è da custodire bene la bottega sotto casa.

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