Cultura e territorio

di Marco Tabellione

Da sempre la cultura è un cavallo di battaglia delle forze politiche, spesso tese a rimarcare il ruolo del sapere nella costruzione della civiltà, ma con una certa tendenza propagandistica e fors’anche demagogica. In realtà che cosa si intende per cultura? E quale è il reale rapporto tra cultura e politica?

E tra cultura e territorio?

Non si può rispondere per esteso a domande di tale enormità, ma alcuni concetti basilari si possono almeno introdurre. Per cultura possiamo intendere il patrimonio materiale e spirituale di una comunità, di una collettività. In pratica l’intera gamma delle coscienze, ma anche delle idee e non solo, anche delle realizzazioni materiali e fisiche a cui una collettività dà vita. In soldoni tutto è cultura. E tutto concorre a stimolare e a forgiare la formazione dell’individuo, a creare il suo senso di appartenenza alla comunità, i suoi atteggiamenti anche divergenti e comunque creativi e idealistici, e inoltre anche il suo effettivo comportamento e gli effetti che esso ha sulla vita della società. Insomma una gamma incredibile di input, pensieri, letture, influenze, polemiche, dialettiche e quant’altro.

Di fronte a un orizzonte così vasto, per rispondere ai nostri quesiti ci conviene restringere il campo dell’indagine. Che cosa intendono per cultura gli esponenti della politica quando si riempiono la bocca con questa parola? Non è difficile dirlo; i politici si riferiscono alle forme più eclatanti della cultura, quelle visibili: le performance, e le strutture appariscenti, come ad esempio i musei, le mostre, i festival, per non parlare dei premi. Quasi mai si sente parlare di cultura nel senso della formazione di base, della condivisione fondamentale che dà vita al consorzio civile, lo sorregge, lo rende meno barbaro e conflittuale, produce in esso un’autentica evoluzione.

Insomma, quasi mai si parla di quella parte della cultura che è meno appariscente, ma sotterranea e lavora in incognito. Quella parte che è affidata per esempio alla scuola, e a tutte le forme di comunicazione con cui gli individui hanno a che fare, tutto ciò che, per farla breve, rientra nell’accezione di agenzie di formazione. È questa parte – si pensi ai telegiornali, per fare un esempio banale, ai loro linguaggi e ai criteri che utilizzano per selezionare le notizie – è questa parte quotidiana e meno eclatante, meno performante, che produce davvero la cultura di un popolo. E su questo campo immenso e sotterraneo i politici e i gestori del potere evitano di addentrarsi.

Perché cultura è innanzitutto formazione, crescita, è critica, non è exploit, non è propaganda.

Svolgere un’azione politica volta a rivitalizzare il tessuto culturale di un territorio non vuol dire solo curare il singolo evento, e la singola struttura, magari museale, vuol dire agire sul retroterra, fare azione sotterranea, e per questo duratura, lavorare sulle radici, non sulle foglie. Continuando con la metafora botanica si può considerare la cultura come crescita e coltivazione; da questo punto di vista le nozioni, le manifestazioni, eventi, strutture e quant’altro non sono cultura, sono il concime; la cultura invece è la crescita della pianta, la formazione dei singoli cittadini, la loro costruzione in termini di consapevolezza, coscienza, la loro evoluzione in senso collettivo e non egoistico.

Del resto il termine cultura etimologicamente è assimilabile al termine coltura, cioè coltivazione.

Ed è solo questa etimologia originaria, questo significato più eccelso, che ci consente di poter definire non colto un computer, anche se a ben guardare è in grado di memorizzare e gestire una quantità di informazioni impensabili per un essere umano.

L’uomo non è una macchina, in lui la cultura si misura secondo il criterio della qualità, non della quantità. Nell’uomo la cultura non è sfoggio di sapere, non è immagazzinamento di informazioni neutre ed eticamente non rilevanti; la cultura è soprattutto progresso ed evoluzione individuale in vista di un’armonizzazione collettiva. Nel senso di Rousseau, la cultura è nell’individuo che si rende libero per rendere libera l’intera società, che si fa colto per diffondere cultura come dono, vale a dire come un patrimonio che si differenzia da qualsiasi prodotto commerciale e industriale, perché si trasmette arricchendo sia chi concede sia chi riceve. Un patrimonio capace di migliorare i rapporti tra le persone, partendo dal miglioramento delle persone, un patrimonio che, in ultima analisi, non può diffondersi solo mediante l’occasionalità di eventi, che invece rispondono alle logiche commerciali e propagandistiche.

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