La tutela dei diritti dei consumatori (terza e ultima parte)

 del Dott. Dario Antonacci (Giurista e Cultore della Materia in Diritto Notarile nell’Università degli Studi di Bologna)

(..segue..) Preliminarmente, è bene precisare cosa debba intendersi per vessatorietà di una clausola.

In tal senso, l’art. 33, ci fornisce una definizione precipua di ciò. Infatti, per tale tipologia di clausola si intende quelle clausole che, malgrado la buona fede, determinano un forte squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto concluso tra professionista e consumatore.

Il legislatore, come emerge dall’art. 33, comma 2, redige un minuzioso elenco di clausole – 22 per la precisione – da intendersi vessatorie fino a prova a contraria. A titolo esemplificativo e non esaustivo rientrano nell’alveo delle clausole da considerarsi vessatorie fino a prova contraria, quelle che hanno ad oggetto o per effetto di escludere o limitare la responsabilità del professionista in caso di morte o di danno alla persona del consumatore, risultante da un fatto o da un’omissione del professionista, escludere o limitare le azioni o i diritti del consumatore nei confronti del professionista in caso di inadempimento totale, parziale o inesatto da parte di quest’ultimo, escludere o limitare l’opportunità per il consumatore della compensazione di un debito, prevedere un impegno definitivo del consumatore mentre l’esecuzione della prestazione del professionista è subordinata ad una condizione, consentire al professionista di trattenere somme di danaro versate dal consumatore se quest’ultimo non conclude il contratto o recede da esso o stabilire un foro competente per la risoluzione delle eventuali controversie differente da quello di residenza o domicilio elettivo del consumatore.

A ciò si aggiunga che, ex art. 34, l’accertamento della vessatorietà delle clausole deve essere valutata tenendo conto della natura del bene o del servizio oggetto del contratto e facendo riferimento alle circostanze esistenti al momento della sua conclusione nonché alle altre clausole del contratto medesimo o di un altro collegato o da cui esso dipende, con la precisazione che, come sancito dal comma 4, tra le altre, non sono vessatorie le clausole che siano state oggetto di trattativa individuale.

In relazione alla forma delle clausole proposte al consumatore per iscritto, in ossequio a quanto disposto dall’art. 35, le stesse devono essere sempre redatte in modo chiaro e comprensibile con la conseguenza che, per ciò che concerne la loro interpretazione, in caso di dubbio sul senso di una clausola, prevale l’interpretazione più favorevole al consumatore.

In quest’ottica, una delle novità introdotte dal Codice del consumo che assume maggior rilievo è rappresentata dalle conseguenze che il legislatore ricollega qualora la clausola risulti essere vessatoria. Difatti, a differenza di quanto si verificava prima dell’entrata in vigore del codice dove le clausole in parola erano inefficaci, in virtù dell’art. 36 del Codice del consumo, ora viene disposto che la natura vessatoria della clausola comporta la sua nullità, facendo salvo il resto del contratto, il quale rimane valido per tutte le restanti clausole non interessate da vessatorietà.

Ed è proprio questo aspetto a caratterizzare la natura della nullità di protezione. Invero, l’intento è quello di proteggere il consumatore, considerato soggetto debole rispetto al professionista.

Orbene, la nullità di protezione si differenzia dalla nullità tradizionale, anche detta assoluta, prevista dal codice civile per la sua necessaria parzialità e relatività. Nondimeno, la nullità relativa in parola opera soltanto a vantaggio del consumatore e può essere rilavata d’ufficio dal Giudice.

Cosicché, la nullità relativa, prevista ai sensi dell’art. 36 del codice, è da considerare tale sotto un duplice aspetto. Il primo è caratterizzato dalla circostanza che risulta viziata da nullità solo ed esclusivamente la clausola che risulta essere vessatoria e, in virtù del principio di conservazione, la restante parte del contratto rimane valido. Il secondo, per contro, è rappresentato dalla sua operatività in modo asimmetrico visto che la detta clausola, seppur viziata da nullità relativa, resta efficace nei confronti del professionista, atteso che, nei riguardi dello stesso, mantiene il valore vincolante mentre opera a vantaggio esclusivo del consumatore, contro il quale non può mai essere azionata e opposta.

Del resto, la nullità relativa può essere invocata solo dal consumatore e non anche dal professionista.

Inoltre, l’art. 36 riporta tre specifici casi in cui le clausole sono da considerarsi sempre nulle, quantunque le stesse siano state oggetto di trattativa, riferendosi a quelle clausole che abbiano per oggetto o per effetto quello di escludere o limitare la responsabilità del professionista in caso di morte o danno alla persona del consumatore, risultante da un fatto o da un’omissione del professionista, di escludere o limitare le azioni del consumatore nei confronti del professionista o di un’altra parte in caso di inadempimento totale, parziale o inesatto del professionista medesimo o che prevedano l’adesione del consumatore come estesa a tutte le clausole che non ha avuto, di fatto, la possibilità di conoscere prima della conclusione del contratto.

Ferme restando, dunque, le novità introdotte in tema di clausole vessatorie e di nullità di protezione, si deve ora porre l’attenzione su un ulteriore aspetto innovativo di particolare interesse introdotto dal Codice del consumo, vale a dire il diritto di recesso.

In merito al diritto di recesso, disciplinato ai sensi dell’art. 52 del codice in commento – diritto riconosciuto anche per i contratti di multiproprietà, contratti relativi ai prodotti per le vacanze di lungo termine e per i contratti di rivendita e di scambio, ai sensi dell’art. 73 – viene riconosciuto al consumatore un periodo di 14 giorni per recedere da un contratto a distanza o negoziato fuori dai locali commerciali senza che questi debba fornire alcuna motivazione e senza dover sostenere costi.

L’inizio del computo del termine di 14 giorni varia a seconda delle diverse tipologie di contratto.

A tal fine occorre specificare, alla luce dell’art. 45, che per contratto a distanza si deve intendere qualsiasi contratto concluso tra il professionista ed il consumatore senza la presenza fisica e simultanea di entrambe le parti, mediante l’uso esclusivo di uno o più mezzi di comunicazione a distanza fino alla conclusione del contratto, compresa la conclusione del contratto stesso, mentre per contratto negoziato fuori dei locali commerciali si intende qualsiasi contratto concluso in un luogo diverso dai locali del professionista.

Tuttavia, il diritto di recesso, anche conosciuto come diritto di ripensamento del consumatore, non ha luogo nel caso sia inerente ad una delle tipologie di contratti rientranti nel novero delle eccezioni al diritto di recesso, ex art. 59 del Codice del consumo.

Altro termine imposto al professionista è dettato dall’art. 61. In quest’ottica, salvo che le parti non abbiano pattuito un diverso termine, il professionista è tenuto ad effettuare la consegna del bene al consumatore senza ritardo ingiustificato e al più tardi entro trenta 30 giorni dalla data di conclusione del contratto. A riguardo, l’obbligazione di consegna è da intendersi adempiuta quando vi è il trasferimento della disponibilità materiale o comunque del controllo dei beni al consumatore.

Asseritamente, risulta ricoprire un ruolo rilevante anche il diritto del consumatore riconosciutogli in virtù dell’art. 130. Ordunque, la norma da ultima citata, dispone che il venditore è responsabile nei confronti del consumatore per qualsiasi difetto di conformità esistente al momento della consegna del bene. Inoltre, viene previsto che, in caso di difetto di conformità, il consumatore ha diritto al ripristino senza spese della conformità del bene mediante riparazione o sostituzione ovvero ad una riduzione adeguata del prezzo o, altrimenti, alla risoluzione del contratto. Al fine di meglio comprendere il concetto di difetto di conformità, appare quanto mai opportuno porre l’attenzione sull’art. 129 del codice. Dalla lettura della norma de qua, si evince come un prodotto si deve considerare difettoso allorquando lo stesso risulta non essere idoneo all’uso al quale servono abitualmente beni dello stesso tipo, non è conforme alla descrizione fatta dal venditore o non possiede le qualità del bene che il venditore ha presentato al consumatore come campione o modello, non presenta le qualità e le prestazioni abituali di un bene dello stesso tipo che il consumatore può ragionevolmente aspettarsi tenuto conto della natura del bene e delle dichiarazioni pubbliche sulle caratteristiche del bene e, parimenti, se non è idoneo all’uso particolare voluto dal consumatore a condizione che ciò sia stato portato da questi a conoscenza del venditore al momento della conclusione del contratto.

Nondimeno, non è possibile invocare il difetto di conformità se, al momento della conclusione del contratto, il consumatore era a conoscenza del difetto, non poteva ignorarlo con l’ordinaria diligenza o se il difetto di conformità deriva da istruzioni o materiali forniti dal consumatore.

Di riflesso, dunque, viene riconosciuta la garanzia legale al consumatore che ha durata di due anni dalla consegna o dalla installazione del bene. Si rende doveroso specificare come, la garanzia legale, che per l’appunto è riconosciuta ex lege, non sostituisce l’eventuale e non obbligatoria garanzia commerciale o contrattuale, ossia quella prestata dal produttore del bene, cosicché entrambe le garanzie possono anche sovrapporsi o coesistere.

Infine, dal punto di vista dell’accesso alla giustizia, l’articolo 140 bis introduce per la prima volta nell’ordinamento giuridico italiano l’azione di classe. La detta azione, sebbene non prevista nella stesura originaria del Codice del consumo, ma introdotta solo a seguito della riforma del 2007 e successivamente più volte modificata, incarna quella tipologia di azione giudiziaria che mira a tutelare i diritti individuali omogenei di una pluralità di consumatori e utenti nonché i diritti omogenei spettanti ai consumatori finali a prescindere da un diretto rapporto contrattuale o anche diretti al ristoro del pregiudizio derivante agli stessi consumatori o utenti da pratiche commerciali scorrette o da comportamenti anticoncorrenziali. Altresì, la detta disciplina resterà vigente fin quando non entreranno in vigore le modifiche previste dalla legge 12 aprile 2019 n. 31.

D’altro canto, l’azione inibitoria, disciplinata ai sensi dell’art. 37, rappresenta un ulteriore strumento attraverso il quale, rivolgendosi all’autorità giudiziaria, le associazioni di settore chiedono che venga inibito l’uso delle condizioni di cui si sia accertata l’abusività perpetrata dal professionista o dalle associazioni di professionisti, a danno dei consumatori. (fine)

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