Covid-19: esperienza con i vaccini e scenari futuri

   

di Romeo Lisciani e Gennaro Passerini

La pandemia tuttora in corso è causata dal coronavirus SARS-CoV-2, isolato nel 2019: da qui il nome Covid-19 della malattia. È un RNA virus con quattro proteine strutturali, una delle quali, la proteina S, è l’antigene dominante, che il virus usa anche per legarsi e infettare la cellula ospite (1). Conseguentemente, per contrastare il Covid-19 gli sforzi si sono concentrati sulla preparazione di vaccini capaci di indurre la produzione di anticorpi neutralizzanti verso la proteina S e di attivare la memoria immunitaria, ma anche di evitare un errore del sistema immunitario, ossia il potenziamento paradosso della diffusione dell’infezione, noto come ADE o Antibody-DependentEnhancement (2).

Vaccini disponibili ora

L’obiettivo del Consiglio Europeo è assicurare la disponibilità di vaccini sicuri ed accessibili a tutti i cittadini legalmente residenti nei paesi della CE e, soprattutto, garantire che questo presidio, fondamentale per la lotta al Covid-19, sia un bene pubblico. Tutti gli Stati membri hanno accesso contemporaneamente ai vaccini, in quantità proporzionale ai rispettivi abitanti. A partire da ottobre 2020, la CE ha stipulato contratti con i produttori di vaccini che consentono l’acquisto di fino a 800 milioni di dosi e ha concluso colloqui esplorativi per ulteriori forniture.

Alla data di questo articolo, l’EMA, l’agenzia regolatoria europea, ha autorizzato per l’uso clinico quattro vaccini. Due di essi, Pfizer-BioNTech (BNT162b1) e Moderna (mRNA-1273), sfruttano la porzione di RNA messaggero che codifica la proteina bersaglio del nostro sistema immunitario (proteina S in questo caso), il quale risponde montando una risposta immunitaria coordinata. Essendo l’mRNA altamente instabile, questo viene inglobato in nanoparticelle lipidiche che ne assicurano il trasferimento nel citoplasma della cellula ospite e lo preservano dalla degradazione, L’esperienza maturata con questi vaccini ha dimostrano un’efficacia del 90% o superiore e una buona sicurezza: gli eventi avversi sono prevalentemente nella sede dell’iniezione e, molto raramente, a livello sistemico (3,4). Ulteriori vantaggi di questo approccio sono la rapidità di produzione, la facilità di introdurre varianti per contrastare eventuali mutazioni che non vengono neutralizzate degli anticorpi suscitati dal ceppo virale originale e, particolarmente importante, la capacità di generare una robusta risposta immunitaria sia umorale che cellulare. Gli svantaggi sono di natura pratica: la necessità di conservare i vaccini in una catena del freddo estrema, compresa tra -80 e -20 C° e la difficoltà di preparazione delle dosi, che necessita della partecipazione di personale specificamente addestrato (5). Gli altri vaccini autorizzato sono Vaxzevria (ChAdOx) di AstraZeneca e Ad26CoV2 S di Johnson & Johnson-Janssen. Rientrano nella categoria dei così detti vaccini a vettore virale, che utilizzano virus non patogeni per l’uomo, modificati geneticamente per esprimere la sequenza dell’antigene virale (proteina S anche in questo caso). Questo approccio vaccinale è già stato impiegato in precedenza per virus diversi dal SARS-CoV-2, ma con esito non sempre soddisfacente, spesso limitato dall’immunità preesistente al vettore (6). Per questo motivo è stato scelto un adenovirus con un’immunità preesistente molto bassa Gli studi clinici hanno messo in evidenza che sono efficaci nella prevenzione del Covid-19 causato dal ceppo originario del virus, ma la loro efficacia nel prevenire la malattia causata dalle nuove varianti SARS-CoV-2 è ridotta o assente (7).

Vaccini disponibili tra breve

In vista del rilascio dell’autorizzazione all’immissione in commercio (AIC), l’EMA sta esaminando la documentazione di un vaccino a vettore virale (Sputnik V, Gam-Covid-Vac) ed uno ad mRNA (CVnCoV, CureVac). È previsto che possano essere disponibili entro questo anno. Per completare il quadro, vanno citati due vaccini progettati in Italia, entrambi in fase clinica 2-3. Il primo (VRC 207 di ReiThera) è a vettore virale ed utilizza un adenovirus di gorilla; il secondo (Evvivax, Takis-Biotech) è di concezione avanzata ed usa la frazione di DNA che codifica la proteina S, ossia l’antigene dominante del SARS-CoV-2 (8).

Vaccinare con una o due dosi

I vaccini Pfizer-BioNThech, Moderna e Astra Zeneca richiedono due dosi per la massima efficacia. La reazione immunitaria avviene anche dopo la prima dose, ma con una produzione di anticorpi neutralizzanti ridotta. La seconda dose la potenzia significativamente, conferendo un’immunità nel 70%- 90% dei soggetti vaccinati (7). Come già detto, la protezione dopo la prima dose è scarsa ed è ancora possibile contrarre l’infezione. In questo caso il virus può replicarsi in presenza di un livello sub-ottimale di anticorpi neutralizzanti: una condizione che favorisce l’emergere di varianti che sfuggono al controllo degli anticorpi (7). Per la scarsità di produzione e distribuzione di vaccini, si è suggerito di allungare l’intervallo tra la prima e la seconda somministrazione per immunizzare il maggior numero di persone con le scorte disponibili. Questa procedura aiuta a migliorare l’andamento della curva epidemica ed attenua la gravità delle manifestazioni cliniche della malattia, ma comporta anche il rischio di insorgenza di nuove varianti del virus perché un livello di anticorpi neutralizzanti medio-basso favorisce l’evoluzione di varianti del virus che hanno una maggiore velocità di replicazione e di diffusione (7). La strategia di allungare l’intervallo tra la prima e la seconda somministrazione è stata adottata nel Regno Unito con il vaccino di Astra Zeneca e, forse non per caso, in questo paese è stata isolata la nuova mutazione B.1.1.7, meglio nota come variante inglese, che viene trasmessa più velocemente e causa circa il 30% di mortalità in più del ceppo originale (9). È caratterizzata da una mutazione nella proteina S, considerata un segno distintivo della resistenza agli anticorpi neutralizzanti (10).

Un commento a parte merita la somministrazione ripetuta di vaccini che usano come vettore un virus. La prima somministrazione suscita la formazione di anticorpi verso il vettore e questo compromette l’efficacia della seconda dose che contiene sempre lo stesso adenovirus. A questo proposito è interessante notare che il vaccino russo Sputnik V usa un adenovirus (Ad26) per la prima somministrazione ed un altro (Ad5) per la seconda (Ad5): la maggiore efficacia riportata per il vaccino con 2 vettori diversi rispetto a quelli con uno solo, suggerisce che la differenza possa essere attribuita all’immunità anti-vettore che si sviluppa dopo la prima commiserazione (11). Per superare il problema posto dall’immunità anti-vettore, potrebbe essere utile usare per la seconda dose vaccini che usano vettori diversi da quelli della prima.

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