La solitudine

di Mistral

Nel 1997 in Italia uscì il romanzo di William Gibson dal titolo Aidoru. Gibson è un noto autore di libri di fantascienza ed è stato sempre affascinato dal rapporto tra virtuale e reale che, in qualche modo ha sempre cercato di profetizzare attraverso i suoi libri. Nel libro Aidoru, che in giapponese significa “idolo”, il reale e il virtuale si fondono e succede qualcosa che per l’epoca era alquanto fantascientifico: Rez, cantante rock sino-irlandese, uno dei personaggi del romanzo Aidoru, si innamora di Rei Toei fino a volerla sposare. Fin qui nulla di strano, se non fosse che Rei non era umana, era un essere che non esisteva in carne e ossa, ma era il prodotto di un software e pertanto “viveva” all’interno di un computer assumendo delle sembianze femminili particolarmente sensuali. Mai più calzante, in riferimento a questa assurda situazione uscita dalla fervida fantasia di Gibson, fu l’espressione di Giulio Giorello, filosofo della scienza, che nella postfazione a Aidoru, ebbe modo di affermare che l’opposto di «virtuale», non è «reale» ma «attuale», in particolare «il virtuale non è mera illusione (…) è quel modo della realtà che bene è colto dalla frase: già e non ancora».

Lo scenario immaginato da Gibson non era frutto di un fantasioso visionario, ma al contrario una “felice” intuizione che purtroppo avrebbe trovato nella realtà una concreta situazione analoga. Sulla rivista Internazionale del mese di dicembre 2019, nella sezione Portfolio, venivano presentate le foto, scattate da Jérôme Gence, con un titolo che non poteva passare inosservato: «Ho sposato un ologramma». Le immagini presentate facevano riferimento a una storia di cui la stampa nazionale si era già occupata: il matrimonio di Akihiko Kondo, un trentacinquenne giapponese, con l’ologramma di Hatsune Miku, una cantante virtuale, con l’aspetto di un manga, molto sexy e dai capelli azzurri, che in Giappone è particolarmente amata. Il giorno del suo matrimonio, costato quasi diciassettemila euro, a cui hanno partecipato una quarantina di invitati, Akihiko Kondo si è presentato con un elegante vestito bianco da cerimonia e in mano una bambola di qualche centimetro. Il matrimonio, pur non avendo valore legale, è stato comunque certificato dalla società Crypton Future Media che, oltre ad aver dato il consenso al matrimonio, ha anche rilasciato un documento che sugellava l’unione. Il giovane giapponese, coerente con la sua scelta di vita, onora il matrimonio coricandosi tutte le notti con la bambola con la quale ha deciso di sposarsi, mentre la mattina, o quando torna a casa, è ben felice di interagire con l’ologramma della sua amata, costato 2.800 dollari, che lo saluta e, da brava mogliettina, gli accende le luci dell’appartamento. Il caso di Akihiko Kondo non è isolato. In Asia questo strano fenomeno è alquanto comune tra i giovani, a tal punto che sono stati redatti quasi quattromila certificati di matrimonio tra un essere umano e un ologramma. Nel 2013 l’amore tra un uomo e una macchina è stato anche rappresentato in un film di successo diretto da Spike Jonze e che in Italia è uscito con il titolo Lei. Anche in questo caso siamo di fronte alla storia non meno strana di uno scrittore di lettere d’amore che, in piena crisi matrimoniale, in una situazione di solitudine e incomprensione, intraprende una relazione con una voce femminile, una certa Samantha, facente parte di un sistema operativo in grado di evolversi nel tempo e a cui l’uomo affida confidenze sempre più intime, trasformando il loro rapporto in una vera e propria relazione sentimentale. Un rapporto uomo-computer sembra essere così naturale proprio perché è fondato su sentimenti “sinceri” da parte dell’uomo.

Questi esempi ci possono sembrare bizzarri, lontani dal nostro mondo, ma in realtà ci riguardano molto da vicino, anche se sbeffeggiamo giovani come Akihiko Kondo, anche se ci costruiamo qualche storiella ironica. Quelle bislaccherie ci appartengono, sono i sintomi di una società contemporanea in cui la relazione con l’altro diventa sempre più difficile e si preferisce sostituirla con una più semplice di tipo artificiale. Trascorrere ore e ore sulle inezie che vengono pubblicate sui social non è forse una forma di alienante relazione con un’intelligenza artificiale? Così come faceva il protagonista di Lei, cosa possiamo dire dell’interazione che molti di noi hanno con Siri o con Alexa?

L’intellettuale francese Patrick Chamoiseau è tranciante a tal riguardo e afferma: «le relazioni sono sempre imprevedibili e non possiamo sapere come sarà il mondo fra mezzo secolo. Possiamo nondimeno cogliere già oggi che quando si esce dalla relazione, si scivola nella barbarie». La sua idea di relazione va però oltre il semplice rapporto con l’altro, Chamoiseau afferma che «occorre costruire in modo umano la relazione con l’altro: un altro che non include solo gli stranieri, ma pure la natura, gli insetti, la biodiversità, o ancora l’impensabile, ovvero ciò che supera la nostra capacità di pensiero. La nostra vera sfida, oggi, è ricostruire un immaginario ampio della relazione». La pericolosa commistione tra virtuale e reale, come ci dimostrano i casi umani più sopra riportati, ha svuotato il senso profondo del «noi» e tende a esaltare l’iper-individualismo che, dimostrando di essere altamente contagioso, in quanto elemento patogeno in grado di ingannare ognuno di noi attraverso l’ammaliante prospettiva di offrirci sollievo con l’egoistico benessere individuale, ci fa “ammalare” e con noi fiacca anche l’intero tessuto sociale. La controindicazione dell’iper-individualismo è l’incapacità di andare oltre i confini del proprio sé. L’aver imprigionato il proprio sé lascia fuori l’Altro, e fa sparire anche il tempo per l’Altro. Il filosofo sudcoreano Byung-Chul Han, in uno dei suoi saggi più belli il cui titolo è L’espulsione dell’Altro, scrive che «il tempo in cui c’era l’Altro è passato. […]. La negatività dell’Altro cede il posto alla positività dell’Uguale. La proliferazione dell’Uguale dà luogo a quei mutamenti patologici che infestano il corpo sociale. A renderlo malato non sono divieto e proibizione, ma ipercomunicazione e iperconsumo; non rimozione e negazione, ma permissivismo e affermazione. […]. La pressione distruttiva non proviene dall’Altro, ma dall’interno». L’io ha bisogno del noi, così come il noi dell’io.

Ci rendiamo sempre più conto che, invece, la realtà ci propone uno scenario che non è proprio così; l’egocentrismo riesce, con il suo potere persuasivo, a convincerci che il benessere può essere raggiunto molto facilmente solo assecondando il nostro io, anche se questo implica, come è inevitabile, una rottura definitiva con l’Altro. In questo modo, dice il cardinale Zuppi, «finiamo per scegliere la parte e non il tutto, lo spazio e non il tempo, la difesa delle cose piuttosto che la costruzione dei rapporti […]. Le idee diventano più importanti della realtà, tanto che ci accontentiamo di una vita virtuale, delle nostre intenzioni, o finiamo per scambiare la realtà con le nostre interpretazioni». Non ridiamo di Akihiko Kondo e di altre persone che hanno fatto scelte simili. La verità è che attraverso l’ilarità nascondiamo sornioni, sotto il tappeto della nostra coscienza, una diffusa tendenza al disimpegno e a scansare il sacrificio; ci vergogniamo non poco nel dover ammettere che non abbiamo più l’umiltà di affrontare i cambiamenti e men che meno le imperfezioni dell’altro. Perché non confessiamo candidamente che la tecnologia ci attrae in quanto è in grado di sostituirsi a noi e soprattutto in quanto è in grado di semplificare la nostra vita e le relazioni sociali? Essa ci offre tutto questo con modalità attraenti, con voce ammaliante e rassicurante, con immagini iper realistiche, ma la verità è che le consentiamo di essere subdolamente più invadente di quanto lo sarebbe il nostro migliore amico, o il nostro coniuge, o ancora nostro figlio. Il dono più grande dell’essere umano è il libero arbitrio ed è proprio nel nome della libertà che cacciamo malamente dalla nostra vita le relazioni e facciamo comodamente entrare un pericoloso sconosciuto che però non riconosciamo come tale: la solitudine.

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