Democrazia o non democrazia

di Marco Tabellione

     La democrazia questa sconosciuta, potrebbe iniziare così questo articolo, dedicato alla grande conquista delle nazioni contemporanee, che però, a ben guardare, così conquistata non sembra. Infatti, se si riflette, la democrazia non c’è e non è mai esistita, essa in fondo è una contraddizione in termini, poiché non si può dare il potere al popolo, o come si suole dire la sovranità, perché il potere e la sovranità sono sempre del singolo, sono sempre individualizzati. Nel concreto la sovranità si riduce ad una manifestazione dell’individuo, e non può restare popolare, non può restare opzione di un gruppo.

Non c’è democrazia perché in genere in ogni azione, in ogni stato o evento c’è sempre il manifestarsi di un potere, di una volontà che cerca di affermarsi nei confronti delle altre volontà. C’è, questa contrapposizione, questa necessità della subordinazione, c’è a tutti i livelli, nelle relazioni affettive, in quelle di lavoro, nella socialità, ovviamente in politica.

Che fare allora? In primo luogo smettere innanzitutto di raccontare bugie o diffondere ipocrisie, e riconoscere che le nostre società non sono democratiche, o meglio lo sono solo leggermente di più rispetto al passato, dato che non si basano più su gerarchie tenute su dallo strumento della violenza, ma tuttavia sopravvissute come appunto stati gerarchici, dunque di subordinazione. In secondo luogo incamminarsi verso l’unica direzione possibile, quella che mira a creare la democrazia dentro di noi.

Abbiamo detto in primo luogo smettere di fingere. Ad esempio si continua a sbandierare l’utopia della democrazia diretta, riferendosi alla civiltà greca. Ma per quanto i greci siano stati degli alfieri di civiltà (Socrate ci ha dato la morale, Platone la filosofia), neanche in quel caso si può affermare davvero che vi fosse una forma di democrazia, associata alla partecipazione diretta dei cittadini alle decisioni pubbliche. A quelle assemblee prendevano parte infatti solo i cittadini maschi liberi, altro che democrazia, era un surrogato della democrazia, idealizzato dalle classi medie (artigiani e mercanti), e riservato a coloro che la democrazia se la potevano permettere.

In fondo tutto è rimasto così, viviamo in una società ancora fortemente gerarchizzata, ed oggi la distribuzione del potere avviene più che mai mediante il censo, il possesso o meno della ricchezza. Resta la tristezza di notare che ancor oggi e forse più di ieri non sono i bisogni a determinare la distribuzione della ricchezza, ma sono virtualmente i meriti, praticamente la capacità di imporsi e riuscire ad affermarsi. E se non si può definire democratica una società che potrebbe riconoscersi come meritocratica, cosa possiamo dire della nostra che meritocratica alla fine non è, o lo è solo in minima parte? Davvero si è distanti da ciò che l’idea di democrazia indica.

In realtà, il problema è che manca il sentimento democratico, esso non c’è, fa finta di esserci, ma genericamente è assente. Non siamo democratici, non lo siamo perché laddove le regole e le leggi ce lo permettono ristabiliamo dittature, autorità, imposizioni, subordinazione, e lo facciamo in ogni ambito, dalle aziende alle istituzioni educative, dalla burocrazia all’economia, persino nell’ambito culturale e dell’arte. Così da un lato sbandieriamo la democrazia ai quattro venti, dall’altro concretamente la disprezziamo, anzi forse la detestiamo, comunque la umiliamo in ogni esperienza, dalle diatribe all’interno del traffico a quelle familiari, dalle riunioni politiche a quelle di condomino, per non parlare del vivere comune, degli arrivismi, le denunce, e via dicendo. Tutto ciò parla contro la democrazia, parla contro quello che dovrebbe essere davvero l’ideale democratico, un ideale che va risvegliato innanzitutto dentro noi stessi, nella nostra purezza morale, nella coscienza più profonda, è lì che dovrebbe essere rimessa innanzitutto la democrazia, e dovrebbe essere contemplata come assoluto rispetto dell’altro e dunque di sé stessi, come rispetto di sé stessi che passa attraverso il rispetto dell’altro.

“In lak’ech”. “Tu sei un altro me” recita un saluto indigeno dell’Amazzonia, ed ecco: quello sì che è un buono esempio di democrazia, di democrazia come sentimento, inserito in un semplice saluto, nel gesto proteso all’altro. Noi ci auguriamo la salute, essi, gli indios, si dicono di essere l’uno nell’altro, o meglio di essere ognuno gli altri. Il riconoscimento dell’altro, e il riconoscimento di sé stessi nell’altro, per far sì che non sia la lotta e la competizione a delineare le condizioni dei nostri rapporti. Ma fino a quando non avremo il coraggio e la convinzione di salutare il nostro simile come “un altro me” fino ad allora non potremo certo condividere con questi “primitivi popoli” il vanto di essere democratici.

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