Appunti di viaggio: San Clemente a Casauria (seconda parte)

di Antonio Lafera

Dopo il senso di meraviglia che ci prende nell’entrare nel giardino del monumento ricco di reperti romani dei templi ivi sorti nei millenni precedenti, guardiamo la facciata elegante e raffinata e gli occhi cominciano un viaggio che nutrono la memoria e l’anima. Cominciamo l’analisi. Il portale centrale presenta tre arcate a tutto sesto, come vuole lo stile romanico. La lunetta è divisa in cinque scomparti. I due laterali presentano una grande rosa. Nel pannello centrale è invece raffigurato San Clemente in trono con la mano destra in atto di benedire mentre con l’altra tiene il pastorale. Alla sua sinistra c’è Leonate che consegna idealmente il modello della chiesa che va ricostruendo. Il modello racconta del progetto originario ove la chiesa è rappresentata con il rosone e con quattro arcate invece delle tre poi eseguite e raffigurate nell’architrave sottostante. Alla sua destra c’è Cornelio, martire, alla sinistra Febo, con l’iscrizione incisa nel libro di Febo, qui come nella lunetta sono eseguite con la tecnica del niello: le incisioni effettuate sono riempite con una pasta di rame, piombo, zolfo, argento e borace rosso che, indurendosi, rende la scrittura nera e indelebile. “Homo quidam nobilis “è l’incipit della parabola dei talenti rubati mentre il testo di Cornelio si riallaccia a una epistola letta durante le festività di San Clemente. Nell’architrave viene illustrata, come in un fumetto, la leggenda della fondazione dell’abbazia. La rappresentazione può essere divisa in quattro parti in ognuna delle quali è presente Ludovico II. Ecco la spiegazione.

1) In una città simboleggiata da una torre (Roma) papa Adriano II consegna i resti di San Clemente, chiusi in un’urna, all’imperatore Ludovico II che li accoglie chino, quasi con deferenza. Notiamo quindi che l’abbazia nasce quindi con il consenso delle due massime autorità del tempo – il papa e l’imperatore – che non hanno però pari dignità: Ludovico II sembra infatti genuflettersi di fronte all’autorità del papa. Chiunque pensi di arrecare danno alla chiesa sappia che avrà contro i due poteri che reggono il mondo: Impero e Chiesa di Roma.

2) Suppone, con la spada, simbolo dell’autorità politica di cui è investito, guarda Ludovico II che consegna l’urna a due monaci, Celso e Beato, perché la trasportino sul dorso di un mulo nel territorio dell’erigenda abbazia, allora circondata dalle acque. Sappiamo che a quei tempi la zona dove ora si trova la chiesa era un’isola nel fiume Pescara. Queste non sono figure secondarie: Celso è il praepositus, cioè l’amministratore dei beni dell’abbazia; Beato è il secondo abate. Suppone è un componente della potente famiglia dei Supponidi e rappresenta in assenza dell’imperatore l’autorità suprema in Casauria

3) Ludovico II consegna lo scettro di primo abate a Romano.

4) Sisenando, grande proprietario terriero, e Grimbaldo, vescovo di Penne, cedono i diritti, temporali e spirituali, che avevano sul territorio di Casauria a Ludovico II mentre il conte Eribaldo assiste alla scena. Interessante è la storia di Sisenando che avendo sposato una musulmana, sconta questo fatto, gravissimo a quei tempi, non ribellandosi ma donando il terreno per la chiesa. Quindi si sottomette all’autorità della Chiesa e il fatto rappresenta un monito di Leonate verso una nobiltà non sempre docile. Il vescovo cede i diritti ecclesiastici che aveva sul territorio. Tutta la scena rappresenta un vero e proprio atto giuridico. Il territorio di Casauria, rappresentato dal cesto con fiori e frutta, che ne attesta la ricchezza, viene quindi acquisito in modo legale. C’è anche un pagamento (monete) e il conte Eribaldo, rappresentante dell’imperatore nel territorio, ne garantisce la legalità. Non ci meravigli questo “fumetto scultoreo”: a quei tempi pochi sapevano leggere, tutti dovevano capire e le immagini scolpite nella pietra erano chiarissime.

Negli stipiti sono raffigurati (dall’alto): a sinistra Ugo e Berengario; a destra, Lotario e Lamberto. Le quattro figure – evidente l’ispirazione dai modelli delle cattedrali francesi – reggono un rotolo spiegato, due anche lo scettro: questi potenti contribuirono tutti all’accrescimento di beni dell’abbazia. Gloria Fossi, esperta di storia dell’arte, vi distingue la mano di due maestri: l’esecutore dei personaggi in basso si differenzia per una maggiore sensibilità nella rappresentazione dei volti e per una tecnica più raffinata riscontrabile ad esempio nei particolari del mantello che ricade dolcemente da una spalla sulla mano coperta dal velo. Guardiamo le figure presenti sui capitelli delle colonne e dello stipite a sinistra del portale (bisogna tener presente che nella simbologia medioevale la sinistra era ritenuta la regione del male) e vediamo rappresentati i mostri e i vizi: la prima figura, un uomo vestito con le gambe divaricate, rappresenta l’avarizia; il drago con coda e testa di serpente, che sussurra parole all’orecchio di un uomo, rappresenta invece la calunnia. Nel capitello dello stipite di destra – la regione dei buoni auspici – sono raffigurati due animali: uno di loro (un toro?) è cavalcato da una figura che sembra congedarsi dal male passato; simboleggerebbe quindi la vittoria della virtù sul vizio. Le porte di bronzo, eleganti e raffinate, furono fatte collocare nel 1191 dall’abate Gioele, successore di Leonate. Esse rappresentano un compendio delle proprietà dell’abbazia, anche se il possesso di terre e castelli raffigurati era enfatizzato allo scopo di usurparne già con l’immagine i diritti… . Sono 72: in 20 vi sono raffigurati i castelli proprietà dell’abbazia, in altre distinguiamo tra i vari motivi decorativi la croce di Malta, il fiore della vita e la mezza luna turca. Interessante è la prima fila di formelle in alto: da sinistra vediamo un rosone, poi un regnante con corona e scettro (Ludovico II) quindi San Clemente in atto di benedire con la mitra. Due formelle si distinguono dalle altre presentando teste di leone a tutto rilievo aventi nelle fauci anelli tortili chiamati anche delle immunità. Quando infatti si chiedeva protezione all’abbazia e non si riusciva per qualche motivo a entrare si era ugualmente immuni dalle offese dei laici aggrappandosi agli anelli. Le porte che Ludovico Muratori vedeva, incredulo, ancora indenni ai suoi tempi lo erano pure nel 1789 e sopravvissero anche alle devastazioni dei francesi. Quando questi andarono via nel 1799, furono rubate quindici formelle; per prevenire altri furti, l’abate Vito Moccia ordinò allora che fossero portate nella chiesa madre di Castiglione a Casauria dove nel 1811 le vedeva Bernardo de Pompeis, sindaco di Torre dei Passeri, trovandovi però presenti soltanto 40 delle 72 primitive. Le mancanti furono poi reintegrate in legno. I riquadri degli ultimi due castelli, in basso, riportano “restaurato” e “A.D. MCMXXXIII”.

Sul portale sinistro si vede San Michele Arcangelo, che atterra con la lancia il drago, simbolo del male. Il culto fu favorito dai Longobardi che, vinti i bizantini a Siponto nel 663, ne fecero il loro santo. San Michele, alla cui immagine è associato anche il culto dell’acqua, risulta custode dei monti e accompagnatore dei morti nell’oltretomba, ereditando le prerogative del pagano Mercurio che a tal compito appunto assolveva (in quest’ottica l’imbarcazione sottostante, emersa dallo strato di intonaco durante i lavori di restauro simbolizza l’ultimo viaggio). Sulla lunetta del portale destro una Madonna con Bambino, rappresentata secondo l’iconografia della Hodegetria – protettrice dei viandanti – mostra evidenti reminiscenze bizantine (l’assenza di sviluppo prospettico nella posizione delle gambe, la minuziosità delle decorazioni nelle vesti della Vergine e del Bambino) e presenta ancora tracce della policromia originaria.

La facciata della chiesa fu costruita durante il periodo di Leonate. Alla sua realizzazione, come a quella di altre parti della chiesa fatta con grande profusione di denaro, contribuirono schiere di maestri e di muratori provenienti da più parti, sicuramente dalla Puglia ma anche dalla Borgogna: si riconosce infatti nelle palme ad acroterio, nei capitelli a cesto del portico e in quelli figurati la mano di un valente maestro francese. Il leone di San Marco costituisce il punto di unione fra l’arcata di sinistra e quella centrale; la colonna su cui è posto aveva alla base un leone (tolto poi in un restauro ottocentesco) che era contrapposto all’altro alla destra dell’arco centrale. Nella simbologia cristiana il leone rappresenta il Cristo perché esso era il simbolo della tribù di Giuda, quella di Cristo appunto. L’arco centrale ha un listellino intagliato a dentelli sulla cornice più esterna, quindi delle decorazioni fitomorfe e, sull’arco più interno, da sinistra verso destra il Re David, più sopra Gioele (da identificarsi nell’abate, successore di Leonate, che fece edificare le porte in bronzo), poi un angelo, una disposizione di foglie di acanto e, di seguito, un agnello,  (nel martirologio di San Clemente l’agnello è accostato a questo santo a ricordo di un miracolo che compì in Cheroneso, quando fece scaturire una fonte d’acqua per i compagni di prigionia dai piedi di un agnello) e Salomone. Interessanti sono i capitelli delle colonne centrali che mostrano i dodici apostoli: opera di due diversi artisti, uno dei quali, quello meno bravo, circa vent’anni dopo, ha scolpito il portale di San Tommaso a Caramanico.

Il bue – quel che resta – simbolo di San Luca e l’aquila di San Giovanni sono uniti nell’arco di destra in cui compare un motivo con bastoncelli a fisarmonica, motivo molto presente nell’architettura pugliese. Mentre il portico risulta concepito secondo un disegno unitario, nel prospetto sono presenti alcune irregolarità: i simboli degli evangelisti sono riconducibili, ad esempio, a un’epoca più tarda in quanto l’angelo di Matteo denuncia stilemi che fanno pensare alla scultura gotica; d’altronde è impensabile che i terremoti del 1349 e del 1456 abbiano prodotto danni soltanto nella parte superiore dell’edificio. Qui la presenza delle quattro finestre bifore – due architravate, le altre a sesto acuto (fra la terza e la quarta c’è una scultura raffigurante l’Ecce Agnus Dei) – è da ritenersi infatti una soluzione di ripiego dovuta ad un rifacimento quattrocentesco: la facciata originale presentava probabilmente un rosone, com’è dato vedere in tutte le raffigurazioni dell’abbazia e cioè sul Chronicon Casauriense. Le finestre comunque danno luce all’oratorio interno.

Il porticato presenta una volta a crociera. Il Chronicon Casauriense per menzionare questa copertura usa il termine “tumbam”. Leonate si mostra quindi sensibile alla cultura d’oltralpe. La volta a crociera con costoloni prismatici, che si richiama, per esempio, alla cattedrale di San Filiberto a Digione, è da ritenersi elemento borgognone dovuto alle maestranze francesi.

Alla sinistra del portico rimangono i ruderi di una costruzione eseguita in blocchi di tufo, che possedeva una volta a botte, come sembra dimostrato dagli accenni di curvatura nella parte superiore del muro. In varie raffigurazioni (nel Chronicon Casauriense, negli architravi del ciborio e del portale d’ingresso) è possibile vedere alla sinistra della chiesa un campanile: si tratta della torre campanaria fatta edificare dall’abate Oldrio fra il 1146 e il 1152. La torre probabilmente crollò durante il terremoto del 1349.

Nel prossimo articolo entreremo in chiesa e ne racconteremo le meraviglie. (continua)


PRIMA PARTE https://ilsorpassomts.com/2020/01/26/appunti-di-viaggio-san-clemente-a-casauria-prima-parte/

TERZA PARTE https://ilsorpassomts.com/2020/04/05/appunti-di-viaggio-san-clemente-a-casauria-terza-e-ultima-parte/


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