Spiranze di primavere – Angolo della poesia

L’angolo della poesia

a cura di Gennaro Passerini

In occasione dell’intervista alla poetessa Mara Seccia, in questo numero di luglio vi ripropongo una sua poesia in vernacolo. La poetessa usa con grande maestria la lingua dialettale di cui si serve per descrivere con genuinità ed espressività la vita quotidiana, i sentimenti, gli usi e i costumi della nostra gente d’Abruzzo. Una delle sue originalità sta nel mettere in evidenza le specificità espressive dell’idioma pescarese che nel tempo con il mutare del tessuto sociale, nel confronto con altri modi verbali d’importazione, senza alterare la sua loquela tradizionale ha subito degli adattamenti. Il mistilinguismo del suo parlare è proprio la risultante di una realtà sociale che nel tempo è andata a modificarsi, ne viene fuori una lingua sui generis, miscela del dialetto e dell’italiano. In definitiva possiamo definire il suo modo di esprimersi nelle poesie un linguaggio ibrido. Vi propongo “Spiranze di primavere” letta con fine maestria dal prof. Raffaele Simoncini.

 

Spiranze di primavere

 

Primavere grige senza cante nè vole.

Terra spujate, senza lume di vite,

s’archiude ‘mbaurite la margherite,

– Ninn’è ore, ninn’è ore…

Chisà, dumane…forse… -.

Luntane, coma fusse nu giujelle,

lucente di neve appare la Majelle.

 

Ma ‘mbruvvise stamatine,

nu soffie d’aria addurose

e na spirelle di sole

mi se specchie ‘mbacce.

Quante t’avè sunnate, Primavere,

ma tu durmive ancore vijate

dentre a la casa di li fate.

A’ finite lu mberne e lu monne

m-po di calore va circhenne!

 

Si scluccate li dite e à ‘rbijate la vite.

La terre di culure s’à ‘mmantate,

gurghegge nu cante di libertà

lu ruscegnolo, pe l’arie si spanne

mille profume e mille sone.

Nu fricciche di cuntintezze

dentre me spezze…

 

Fusse primavere pure pe me?

Ce vù scummette? Tinghe voje di cantà,

di pazzijà, d’appuntarme nu fiore ‘mbette…

L’età? Che me n’importe di l’età?

È Primavere e ancore nu sogne voje acchiappà

e tinerle strette, annascunnate pe nnì le fa scappà.

 

Sono presenti nel sentire comune e si ripropongono, con forme e modalità sempre nuove, alcune dinamiche temporali, alcune scansioni psichiche che dànno un orizzonte di senso all’esistenza umana. Una di queste è l’alternarsi delle stagioni e, tra esse, il ri-mostrarsi della primavera, dopo il lungo inverno e i suoi ultimi strascichi: “Primavere grige senza cante né vole, Terra spujate, senza lume di vite, s’archiude ‘mbaurite la margherite”. La primavera è la stagione bella per antonomasia e la natura tutta torna a “vivere”, giovane, profumata, attraente, mirabile. Essa va, dunque, cantata, declamata e il vernacolo, denso di una sua lunga e inveterata storia, ben si adatta a questo fine: “Si scluccate le dite e à ‘arbijate la vite….pe l’arie si spanne mille prufume e mille sone”. La primavera è anche ri-provare uno stato d’animo lieve, sereno: “Nu fricciche di cuntintezze dentre me spezze…”. In una metafora toccante, non priva di malinconici rimembranze, la poetessa pone a se stessa e al suo lettore un interrogativo di fondo: “Fusse Primavere pure pe me?”; e siccome da sempre la primavera sta a simboleggiare la spensieratezza giovanile, sfrontata, straripante, piena di vita, l’inciso pure pe me? si carica di significati allusivi per chi quella gioventù l’ha ormai solo nei ricordi nostalgici di una età irripetibile. Eppure, l’intensità di una “sfida” si ripropone impunemente, quasi sottraendosi alle inesorabili leggi del tempo che scorre: “L’età? Che me n’importe di l’età? E’ Primavere e ancore nu sogne voje acchiappà e tinerle strette, annascunnate pe nni le fa scappà.” Questi versi sembrano racchiudere in sé il nucleo centrale di una grammatica esistenziale: la primavera è per tutti, è a-temporale e occorre saperla vivere, in ogni momento della propria vita. In definitiva, si tratta di un tema che ha attraversato una lunga tradizione millenaria di culture; merito della poetessa è stato l’averlo riproposto con parole semplici, prive di sovrastrutture retoriche, nella lingua espressiva e semanticamente diretta e immediata del dialetto.

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