Prima persona plurale

Prima persona plurale

di Mistral

Nel lontano 1992 Carlo Maria Martini in un libricino si poneva già questa domanda: «Esiste ancora la solidarietà in Europa?». Il prelato accusava, senza mezzi termini, che l’orientamento verso il bene comune stava lasciando il posto all’interesse individuale. Sono passati molti anni da allora e quell’egoismo sembra presente ancora più prepotentemente a causa della diffusione della Rete che, servendosi di dispositivi portatili come smartphone e tablet, ha perennemente connesso le persone tra di loro, ma anche aumentato pericolosamente il rischio di far perdere l’individuo nell’ambito di una moltitudine solitaria. Un tale scenario, in qualche modo, potrebbe indurre la persona a dare meno valore all’incontro con l’altro, laddove questo incontro richieda preliminarmente la conoscenza e quest’ultima, a sua volta, reclami la necessità di dare tempo all’altro per ascoltarlo e condividere con lui quanto ha di più prezioso da trasmettere.
L’incontro con l’altro è invece alla base dell’associazionismo e più in generale del Terzo Settore che però, dal canto suo, sta conoscendo un periodo particolarmente ostile circa il suo operato. Esplicite a questo proposito sono state le parole del cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, durante il discorso di apertura dei lavori della seconda giornata dell’Assemblea generale della CEI a Roma alla fine di maggio di quest’anno. Parlando di «antichi pregiudizi» verso le attività sociali, Bassetti ha affermato che a causa di questi non si è ancora arrivati ad avere “una normativa adeguata a rispondere alle esigenze di centinaia di migliaia di persone, dedite al prossimo e alle persone bisognose. Si tratta di un mondo di valori e progetti realizzati, di assistenza sociale, di servizi socio-sanitari, di spazi educativi e formativi, di volontariato e impegno civile. In una società libera e plurale questo spazio dovrebbe essere favorito e agevolato in ogni modo”.
In questo spazio che Il Sorpasso riserverà all’argomento, si tenterà di approfondire il tema delle diverse forme in cui si manifesta l’articolata rete della solidarietà, non mancando anche di dare voce ai protagonisti impegnati attivamente nella società civile, nelle imprese sociali e nel Terzo Settore. L’obiettivo è quello di riportare al centro dell’attenzione il principio della sussidiarietà quale importante momento partecipativo dei componenti di una comunità, al fine di instillare in essa il germe della felicità pubblica, oltre che privata la quale, se in qualche modo inibita, non fa altro che diminuire la soddisfazione di vita e ricchezza di senso della cittadinanza stessa.
È indubbio che stiamo vivendo un momento storico alquanto complesso in cui i termini come accoglienza, solidarietà, cooperazione, considerati di solito nella loro accezione positiva, vengono sottoposti a un processo di travisamento diventando il capro espiatorio di una società che ha perso il valore del «noi». In un Paese come l’Italia in cui assai radicati sono i tanti valori civili e religiosi, assume un sapore un po’ amaro la risposta debole dei cittadini a questo attacco verso il mondo del non profit. Si assiste come a un diffuso e improvviso timore di dialogare con l’Altro e di incorrere nel rischio, come direbbe Enzo Bianchi, “di essere alterato dalla sua alterità. Il dialogo, come ogni comunicazione, è un rischio. E un dialogo serio e condotto in verità non lascia immutati, ma trasforma. Questo rischio del dialogo, della rinuncia alla propria autosufficienza, all’isolamento superbo e miope, deve essere corso da chi oggi vuole costruire un mondo più conviviale, più pacifico, più fraterno, e vuole andare più a fondo dell’esperienza spirituale”.
Forse se in ambito politico sembra avvertirsi una così poca attrazione per il bene comune, come condizione di vita sociale volta a favorire il benessere umano nella sua più ampia accezione, la responsabilità è un po’ anche di ognuno di noi che dovremmo sentirci chiamati a una maggiore collaborazione attiva in ogni campo nella vita comune, ma anche politica. Cambiando il punto di vista, in virtù delle profonde trasformazioni sociali (l’invecchiamento della popolazione, l’evoluzione del modello tradizione della famiglia, l’aumento della convivialità con differenti etnie, l’accentuazione della povertà diffusa e del malessere sociale, ecc.), sarebbe auspicabile che anche le istituzioni diventassero promotrici sia a livello nazionale che in ambito locale di un ripensamento dei modelli di welfare. Infine, dal lato del mondo del non profit è invece auspicabile un miglioramento della leva della comunicazione, così da far giungere al mondo civile e politico, con voce forte e chiara, la bellezza delle buone pratiche, la forza dei valori, la perseveranza dei volontari, la disarmante semplicità delle soluzioni, la potenza dell’arma dell’umiltà per trasformare tutto questo in un modo di essere e di pensare in grado di contagiare il presente e tracciare una strada verso il futuro.

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