L’Unione che divide i popoli europei

Euro, eravamo pazzi? “Era davvero difficile che funzionasse e ne abbiamo visto tutti i problemi”.
Giuliano Amato, estratto da “lezioni dalla crisi 7/12” YouTube.

di Gianfranco Costatini

Per introdurre la riflessione sull’unificazione europea, per cercare di capire le origini del malcontento popolare verso quest’unificazione infelice, partiamo dalla riflessione fatta da uno degli artefici del “disastro annunciato” e prendiamo proprio le sue parole per aprire questo breve scritto che, senza alcuna pretesa, vuole offrire un punto di vista, oramai largamente condiviso sulla “disfunzione europea”.
Purtroppo non tutti possono capire quello che mi accingo a scrivere, solo una larga maggioranza di sfortunati avrà la possibilità emotiva di comprendere.
Mi riferisco a coloro che in questi anni hanno subito la crisi economica, chi ha avuto uno o più disoccupati in casa, che hanno visto crollare inesorabilmente i fatturati nella propria azienda e hanno avuto solo dinieghi dalle banche. Chi in questo momento non ha la palpitazione di cuore per qualche figlio costretto all’emigrazione lavorativa e si può permettere visite mediche a pagamento, per sopperire alle ristrettezze della sanità pubblica, oggi si sta godendo il posticino caldo al sole e non credo possa comprendere, proprio per una naturale resistenza mentale. Probabilmente costoro liquideranno la lettura, se mai la completeranno, con un: ma che dice? A me l’euro è sempre piaciuto e l’Unione europea mi è parsa fin dal principio una buona idea.
L’unione europea oggi, non funziona e non potrà mai funzionare, o meglio, non lo farà come luogo di prosperità e sviluppo perché nasce con presupposti sbagliati e non correggibili in futuro.
I trattati sono intrisi dei valori ordoliberisti (una versione evoluta ma altrettanto feroce del neoliberismo), di matrice germanica e ad ammetterlo orgogliosamente è il governatore della Banca Centrale Europea Mario Draghi. Per rendere incomprensibili le reali intenzioni dei trattati, gli articoli sono stati scritti volutamente in maniera criptata per stessa ammissione degli autori, così da risultare indecifrabili anche ai parlamenti che avrebbero dovuto votarli.
Il primo grande difetto, il più macroscopico, a saperlo leggere, si trova nell’articolo tre del Trattato di Lisbona (che in molti elevano erroneamente al rango di costituzione europea) e rende il lavoro subalterno alla forte competizione e alla stabilità dei prezzi.
Tradotto in parole povere, oltre ad essere in contrasto con la nostra Costituzione che pone al centro il lavoro, per avere una stabilità dei prezzi, bisognerà avere una disoccupazione strutturale che non deve mai essere abbattuta (On. D’Attorre) e deve essere differente tra stato e stato (in Italia circa il 12%).
Chi deve recuperare competitività, (quasi tutti gli Stati dell’eurozona), in questo sistema economico liberista e libero scambista, deve aumentare la disoccupazione per fare scendere gli stipendi e deve recuperare nei confronti del concorrente in una continua guerra al ribasso tra i lavoratori per riuscire a vendere al miglior prezzo nel mercato europeo.
Questa concorrenza al ribasso, deprime il mercato interno europeo perché con stipendi sempre più bassi, i lavoratori spendono sempre meno e il circolo vizioso alimenta la depressione. Con questo schema, il lavoratore europeo, è sempre più schiacciato tra un lavoro sottopagato e la prospettiva della disoccupazione.
Bisogna iniziare a capire che la facciata buonista europea, propaganda pubblicamente la fratellanza, la pace, lo sviluppo e la cooperazione ma nei trattati ha già scritto da tempo il contrario: forte competizione, stabilità dei prezzi, predominio del mercato sul lavoro.
Ovviamente come chiunque può facilmente costatare, tutto ciò avviene sulle spalle dei popoli che si trovano nel bel mezzo di una guerra commerciale sporca che provoca disoccupazione da un lato e accumulazione di ricchezze immense nelle mani di coloro che sono in grado di eludere il fisco nel mercato dei capitali senza più regole.
Il secondo grande difetto dell’Unione, è che non esiste l’unione politica e mai potrà esistere perché non c’è un comune sentire europeo.
A parte l’esistenza consumistica, in Europa ci divide quasi tutto: lingue, costumi, tradizioni, confini, storie e soprattutto, interessi economici.
È innegabile che lo sforzo di creare una “generazione Erasmus” abbia avvicinato le esperienze dei ragazzi inviati a migliaia in Inghilterra da tutto il continente, ma se guardiamo la lingua eletta a essere quella europea, ironia del destino, tra poco con la Brexit, sarà extracomunitaria, quindi? Di cosa stiamo parlando?
Il terzo grande difetto è l’assoluta disparità di trattamento tra i soci aderenti al club dell’Euro e mi riferisco al rispetto dei trattati. Pare, infatti, che l’unico stato ad aver l’obbligo di rispettare le regole europee, sia proprio il nostro paese è condizionato in ogni sua scelta, in ogni momento.
Potrei proseguire per decine di pagine, facendo notare che il numero stupido del 3% tra debito pubblico e PIL, che tra l’altro in nessuna parte del mondo esiste, si applica solo all’Italia (guardare le serie storiche elaborate Eurostat per credere). Oppure potrei parlare del Six Pack che contiene regolamenti che disciplinano i limiti dei surplus delle bilance commerciali, vero elemento di squilibrio europeo che sforato sistematicamente da Germania e Olanda, non si sanziona mai?
Non mi dilungo perché credo che quest’articolo debba suscitare curiosità e interesse al lettore che autonomamente troverà, se lo vorrà, tutte le risposte necessarie per capire; troppo spesso la realtà è differente dalla percezione.
Mi piace pensare il lettore, come il prigioniero della caverna di Platone che compie una “rivoluzione”, semplicemente ruotando il capo, trovando così da solo, la strada per uscire dalla caverna che credeva essere l’unico mondo esistente. Il lettore incuriosito dovrebbe compiere lo stesso gesto, semplice, banale ma allo stesso tempo, rivoluzionario.
È doloroso, mi rendo conto, mettere in discussione le rassicuranti menzogne in cui siamo immersi costa sacrificio, ma è necessario per progredire.
La nostra comunità nazionale è sprofondata in un abisso della storia, sta a noi uscirne e creare un nuovo modo per cooperare in pace e prosperità con i nostri fratelli europei.
Un altro mondo è possibile e come sempre nella storia, dipende dalla nostra volontà.

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