Shoek: “Rap un’occasione per gridare tutto quello che non va”

Shoek: “Rap un’occasione per gridare tutto quello che non va”

C’è musica e musica. C’è cantante e cantante. C’è canzone e canzone. Insomma ci sono sempre delle differenze. Il mondo non è piatto ma è decisamente tondo con tante montagne che si alternano a pianure. Le sfaccettature sono numerose, i punti di vista ancor di più. Ognuno guarda le cose a suo modo, ciascuno elabora contenuti secondo la sua visione. La musica che impazza tra i giovanissimi di questi tempi fa discutere per i suoi contenuti, spesso brutti ma spesso anche molto belli. Cantare un testo bello, stimolante, che apre il cuore verso mete più ampie non è come cantare una canzonetta brutta e volgare. La musica è un veicolo; trasporta emozioni, sensazioni, suscita ricordi, accende speranze, allevia dolori; insomma la musica è vita, con tutto quello che la vita comporta. Incontrare un cantante che fa della sua musica una missione, per spandere il profumo della vita – nonostante le vicende tristi che hanno segnato il suo passato – aiuta a capire che la speranza non è vana, nonostante tutto, ma soprattutto apre alla fede, quella fede che è strumento di resurrezione per tutti, basta solo, appunto, avere Fede.   A Montesilvano abita Thomas Valsecchi (in arte Shoek), classe ’86, nato a San Patrignano nella comunità di recupero di tossicodipendenti dove vivevano entrambi i genitori. Il resto ve lo racconterà lui in questa intervista.

 

di Vittorio Gervasi

  1. Innanzitutto, perché ti chiami Shoek?
  2. È una storia lunga: ho scelto questo nome quando avevo 11 anni e iniziavo a cantare con alcuni amici; dovevamo scegliere di darci un nome, io ho scelto SHOEK perché loro mi dicevano che ero un ragazzo scioccante.

 

  1. Quando nasce la tua passione per la musica?
  2. La mia passione per la musica nasce sostanzialmente insieme a me. Mio padre, infatti, mi ha sempre fatto ascoltare musica sin da quando ero piccolino, mi faceva addormentare con i Led Zeppelin, i Deep Purple e i Talking Heads in sottofondo, mi portava ai concerti di Vasco e me lo facevo ascoltare quando ero ancora in culla. Sono cresciuto a pane, rock e metal. Inoltre, ascoltavo mio padre cantare in casa e cantavo con lui, facevamo dei mini concerti. Dopo aver trascorso anni immerso in questo stile, e dopo una breve parentesi di punk (Ramones, Sex Pistols), ho però incontrato il rap e, poiché mi piaceva scrivere poesie, ho capito che il rap mi dava la possibilità di mettere in musica le mie rime. Mi sono rispecchiato molto in quello stile, anche se, in verità, oggi ascolto più rock che rap.

 

  1. Perché ai giovani piace così tanto il rap?
  2. Penso che sia perché il rap nasce come uno stile musicale di denuncia, sia inizialmente tra gli schiavi africani che attraverso di esso gridavano a Dio il dolore dell’oppressione che subivano, sia quando è arrivato nei ghetti dando modo alle minoranze di denunciare razzismo e ingiustizie sociali. Il rap piace perché è appunto denuncia e provocazione, un’occasione per gridare tutto quello che non va. È questo aspetto, secondo me, che affascina soprattutto gli adolescenti che vivono quella fase in cui credono di sapere tutto. E poi il rap ti permettere di esprimere in una sola canzone molte più cose di quelle che riusciresti a esprimere in una canzone non rap.

 

  1. Qual è, oggi, secondo te, il malessere di un giovane?
  2. Io credo che il malessere più grande dei giovani, oggi, sia l’incertezza per il futuro. Non ci sono più certezze per il domani e questo vale sia per i giovani che per i meno giovani. I ragazzi vivono in un perenne “che ne sarà di me?” che fa molta più paura rispetto al passato perché prima almeno sapevi che studiando un futuro potevi averlo, oggi invece anche con una laurea in mano potresti ritrovarti a fare il commesso. Nella società attuale niente garantisce ai ragazzi che potranno farcela e questo li terrorizza.

 

  1. Ti va di raccontarci un po’ la tua storia personale?
  2. Sì, io sono un ex tossicodipendente. Sono nato in una comunità di recupero e poi sono a mia volta finito in una comunità per tossicodipendenti. Purtroppo la tossicodipendenza mi ha spinto anche alla prostituzione: mi vendevo per potermi drogare. Poi per cercare di allontanarmi dalla prostituzione mi sono affiliato a una gang in Spagna e, dopo tre anni passati in Sudamerica, al mio rientro in Italia sono stato arrestato per spaccio. La droga mi ha rovinato la vita, sentivo un gran vuoto dentro che cercavo di colmare drogandomi.

 

  1. E del rapporto con i tuoi genitori ti va di dirci qualcosa?
  2. No, di loro preferisco non parlare.

 

  1. Attraverso la musica hai trovato una risposta al tuo male di vivere?
  2. No, attraverso la musica ho trovato uno sfogo. Ancora prima della mia decisione di fede, attraverso il rap, ho trovato il modo di comunicare al mondo le ferite che mi portavo dentro. Prima di iniziare col gospel rap, ho fatto un cd puramente rap che si chiama ‘L’inferno in un angelo’ e in quel disco i testi sono tutti molto forti e completamente diversi da quelli attuali perché riflettevano il malessere che mi attanagliava. Non mi interessava provocare, io volevo raccontare il mio disagio interiore. Vasco Rossi dice che quando una nota si sposa perfettamente con una parola nasce qualcosa di meraviglioso che con le sole parole sarebbe difficile esprimere. La musica mi ha dato modo di tirare fuori ciò che avevo detto, ma non ha riempito i miei vuoti.

 

  1. Qual è la tua canzone che esprime meglio chi sei?
  2. La canzone che mi identifica meglio credo sia ‘Il soffio di un istante’, che è uno dei miei brani più recenti, e che parla di una persona in cerca di risposte e arrabbiata con tutti, anche con Dio. A Dio questa persona manifesta la sua rabbia per le mancate risposte, ma dice anche di essere certo che esse arriveranno quando saranno solo loro due da soli e che però vuole solo risposte vere, anche se dolorose, non le solite frasi fatte di cui si riempiono la bocca tante persone.

 

  1. I tuoi programmi futuri?
  2. Io sono una di quelle persone a cui piace vivere, anche artisticamente, alla giornata. La Parola di Dio dice “non affannatevi per il futuro”. Comunque, di progetti ce ne sono tanti anche con gli artisti della mia etichetta discografica, la I.M.S., ma il mio obiettivo più grande è riuscire a portare il gospel rap massimi livelli, facendogli avere la stessa diffusione e visibilità che ha avuto il rap, cosicché i giovani sappiano che c’è una musica edificante e non distruttiva. Per me però è già una grande soddisfazione essere riuscito ad approdare su canali e trasmissioni importanti, perché se già è difficile emergere con la musica “normale”, pensate col genere di musica che faccio io.

 

  1. Quando hai scoperto la fede?
  2. A 16 anni ho avuto i primi contatti con la fede, grazie a una ragazza che mi parlava di Dio, ma io ho sempre fatto ricerche su Dio perché ero arrabbiato con lui e mi dicevo che per odiare qualcuno devi prima conoscerlo. Conoscendolo ho capito che il Dio che io stavo odiando non era il vero Dio. Solo a vent’anni, però, dopo la disintossicazione, mi sono totalmente arreso a Gesù e da allora sto conoscendo ogni giorno l’immensa grazia di Dio, che ha avuto misericordia di me in un modo sorprendente.

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