Il mercato del pesce – parte 6 di 10 – Quaggiù il cielo è più vicino

Quaggiù il cielo è più vicino

di Emilio Pirraglia

Parte Sesta di Dieci – Il mercato del pesce

Camminavano sulla spiaggia, una spiaggia che sembrava infinita. La luce del sole era abbacinante e facevano fatica a stare con gli occhi aperti. Un uomo stava lavando delle capre in mare lasciandosi aiutare da un bambino, alcuni ragazzi scappavano dietro una specie di pallone, altri facevano il bagno vestiti, e tutti rivolgevano almeno un’occhiata ai due uomini bianchi, che si sentivano ufo caduti dal cielo. Alcuni davano solo un’occhiata, altri sbirciavano con la coda dell’occhio, altri fissavano con insistenza. Alex iniziò a sentirsi a disagio. Ogni tanto un carretto di persone trainato da cavalli passava accanto ai due, lasciando i solchi delle ruote sulla spiaggia. «Non mi fido di questi che passano con i carretti – esordì Alex – arrivano all’improvviso e potrebbero aggredirci da un momento all’altro. Teniamo gli occhi aperti». Il sergente non rispose. Parlavano il meno possibile, si limitavano a guardarsi intorno. Passarono accanto ad un cantiere. Alcuni muratori stavano costruendo una casa sulla spiaggia, apparentemente senza alcun criterio. Si fermarono tutti a guardare i due uomini.

Quasi tutti i carretti che superavano i due a pochi centimetri di distanza, carichi di ragazze e ragazze, andavano verso un braccio di spiaggia che si allungava nel mare. Riuscivano a scorgere, nella luce tremolante del pomeriggio, un gruppo di baracche e un notevole assembramento di persone sulla spiaggia. L’inquietudine saliva nel cuore di entrambi, si guardarono, senza proferire parola, con la paura che emettere dei suoni avrebbe attirato ancora di più l’attenzione. L’odore del pesce iniziò ad arrivare a zaffate pungenti. Alcune piroghe, colorate di blu e di rosso, arrivavano dal mare, trasportando i loro carichi di fauna marina di tutti i tipi. Piccoli pesce spada, triglie, orate, e altri tipi di pesce che non avevano mai visto prima. La folla si fece notevole, i pescatori tiravano le barche a riva, avevano tutti dei lunghi coltelli legati ai fianchi, che arrivavano fino alle ginocchia. Scaricavano il carico e buttavano il pesce sulla spiaggia, dove si riunivano soprattutto donne, a scegliere e a comprare. L’odore era nauseabondo. Alcuni evisceravano il pesce lasciando le interiora sul posto, alcune capre girovagavano tra la gente, il pesce, le interiora, gli scogli e le piroghe.

I due si fermarono a guardare lo spettacolo della compra-vendita accanto alcune piroghe. Alex tirò fuori un pacchetto di sigarette dalla tasca. Il compagno di viaggio gli diede un’occhiata e a bassa voce: «che fai? Se ti vedono con quelle sigarette ci verranno addosso». Il fumatore gli rispose che se qualcuno ne avesse volute gli avrebbe dato anche tutto il pacchetto se necessario. Accese la sigaretta, ma non si sentiva tranquillo, spostava gli occhi a destra e a sinistra, aspettandosi da un momento all’altro qualcuno che gli avesse chiesto le sigarette e chissà cos’altro. Stettero a guardare la scena dei fieri pescatori che scaricavano le barche, delle donne che compravano il pesce e dei bambini che giocavano tra i piedi. Un groviglio di persone ammassate su quel fazzoletto di spiaggia. Tutto finì all’improvviso, così come pareva essere cominciato. La folla si disperse, le donne tornarono verso le baracche e gli uomini si incamminarono fieri sulla spiaggia, parlando piano, con i coltelli appesi ai fianchi. Uno squarcio di umanità che lavorava insieme per la sopravvivenza, che chiedeva al mare con pochi mezzi, che faceva sentire orgogliosi del loro lavoro gli uomini e affaccendate le donne e i bambini che correvano felici tra i mucchi di pesce.

Una specie di festa giornaliera, che voleva dire cibo, che voleva dire vita. Alex sorrise, aspirò una boccata di fumo, e dimenticò la paura. Sulla via del ritorno incontrarono un ragazzo che faceva fatica a trasportare un secchio di vongole appena pescate, gli sorrise. Tornati in albergo, ad un paio di ore dal tramonto, ad Alex venne voglia di pescare. Il pomeriggio avrebbe lasciato presto il posto alla sera, la proprietaria dell’albergo li avvisò che le zanzare della malaria si facevano aggressive dopo il tramonto. Uscirono lo stesso verso il mare, con una piccola rete che Alex aveva messo nello zaino. Raggiunsero la spiaggia ed entrarono in acqua, che a dispetto delle loro previsioni, si dimostrò di temperatura piacevole sulla pelle. La corrente ere molto forte, ma gestibile. Rimasero non molto distanti dalla riva con l’acqua che gli arrivava alla vita. Alex si abbassò e affondò una mano nella sabbia, tirò fuori tre vongole, che faceva fatica a tenere in una mano, era sbalordito. Per pescare vongole in Italia doveva significare munirsi di pinne e maschera, arrivare dove l’acqua era profonda tre o quattro metri, immergersi e sperare di trovare qualcosa. Lì era con l’acqua sopra le ginocchia, cominciò a raccogliere i molluschi, senza fretta. Alcuni ragazzi stavano facendo il bagno poco distante, li vedevano sempre più vicini, che guardavano incuriositi. Uno di loro, sui dieci anni, gli sorrise e disse qualcosa in francese. Non si capirono, Alex tirò una mano fuori dall’acqua, e gli fece vedere le vongole. Lui sorrise di nuovo ed affondò le mani nella sabbia subacquea, gli porse alcune vongole. L’uomo le prese, aveva trovato un aiutante. Raccolsero i frutti di mare in silenzio, ogni tanto si sorridevano a vicenda. Poco dopo giunse un altro ragazzo, sui quindici anni, anche lui si mise ad aiutare. Poi due ragazzine, che ogni tanto guardavano e sorridevano per voltare lo sguardo dall’altra pare.

Non potevano comunicare a parole con nessuno di loro. L’unico scambio erano i sorrisi e i molluschi, loro porgevano le vongole all’uomo bianco e lui le metteva nel sacco, facendosi sbalzare dalle onde del mare, al tramonto del sole. Alex dovette alzarsi e fargli capire che bastava così, mostrando la rete traboccante e pesante, alcuni parevano dispiaciuti. Si allontanarono tutti, così, all’improvviso, come erano venuti. Tornarono in albergo e diedero i molluschi alla proprietaria. La sera cenarono con spaghetti alle vongole, offerti dalla casa a tutti gli ospiti dell’albergo (tranne due ragazze spagnole che avevano i loro panini). Al tavolo erano seduti Alex, il sergente, un uomo italiano che viveva in Africa da diciotto anni e un ragazzo francese, che stava lì a fare un qualche tipo di tirocinio. Parlarono della loro giornata e il vecchio panciuto italiano, che dimostrava di conoscere bene l’Africa nera, s’interessò a loro e al motivo del loro viaggio. Disse loro che se erano lì per restare era meglio lasciar perdere la pesca, ma dirigersi all’interno della regione, dove potevano entrare nel mercato dell’oro. A Dindefelo, al confine con la Guinea, lui aveva un contatto che poteva aiutarli.
Fine Parte Sesta di Dieci
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