Un patrimonio da difendere e sfruttare

 di Marco Tabellione

 

La bellezza dell’Abruzzo, il carattere selvaggio e spettacolare della sua natura, l’aspetto incontaminato di tante zone dell’entroterra danno vita ad un patrimonio naturalistico, ma anche culturale e architettonico, unico in tutta Europa. Si tratta di una ricchezza che purtroppo in gran parte resta sconosciuta, e che andrebbe valorizzata e propagandata, oltre che ovviamente difesa. Un tesoro che avrebbe potuto dare vita ad una economia turistica in grado di sfruttare le bellezze della montagna e della collina però nello stesso tempo preservandole, come accaduto in regioni da questo punto di vista all’avanguardia, come ad esempio il Trentino o la Toscana.

Ma piuttosto che recriminare su quanto non è stato fatto, vediamo se è possibile prospettare, almeno solo a livello teorico, la possibilità di mirare davvero ad una forma espansa di economia sostenibile che in Abruzzo faccia leva sulla bellezza naturalistica. Ricordando inoltre che per godere di queste meraviglie naturali non occorre sempre inoltrarsi fino alle montagne abruzzesi, che pur rappresentano scorci tra i più belli dell’Appennino e in alcuni casi, come per il Gran Sasso, paragonabili a quelli alpini. Perché, in effetti basta prendere una bicicletta, fare una decina di chilometri verso l’interno, magari partendo dalla costa e dunque anche da Montesilvano, per incontrare paradisi insospettati.

Si tratta di profili collinari, panorami tipicamente agricoli che si stagliano verso le montagne, e offrono angoli di incanto e libertà. E anche qui forse c’è da rimpiangere il non fatto, nonostante molti percorsi organizzati e attrezzati che fanno leva sul vino o sull’olio e che avrebbero potuto dare maggior risalto anche alla parte pedemontana dell’Abruzzo interno. Per non parlare dell’agriturismo che, nonostante le molteplici aziende nate, spesso si limita esclusivamente a forme di ristorazione. Ecco, anche in questo caso si nota lo stesso destino del turismo montano, quello più vicino ai parchi, cioè un destino di dimenticanza, e di successo forse solo in casi singoli. E allora che fare? Recriminare oppure cercare di lanciare idee, progetti, proposte?

Credo che intanto il ruolo che si può svolgere sia quello divulgativo, sia quello di propagandare anche ai residenti abruzzesi una bellezza collinare e montana che è sicuramente una delle più ricche d’Italia. Occorre far conoscere le meraviglie dell’Abruzzo a cominciare, come detto, dagli abruzzesi, moltiplicare gli sforzi per portare a tutti le immagini dell’interno collinare, propagandarle su riviste, tv, web, e collaborare con quelle riviste, come D’Abruzzo ad esempio, che da decine di anni svolgono questa funzione dispensatrice. E poi portare all’esterno queste bellezze, moltiplicare la propaganda sulla rete e renderla nazionale, europea, mondiale.

Ricordo che parecchi anni fa ebbi la possibilità di intervistare due turisti triestini che dopo una vacanza in Abruzzo in una lettera al direttore di una celebre rivista avevano mostrato la loro sorpresa per la scoperta che avevano fatto della bellezza dell’Abruzzo montano e collinare, ma nello stesso tempo avevano deprecato la mancanza di conoscenza di una delle aree a loro parere più bella dell’Europa. Mi chiedo perché a distanza di decenni la situazione a livello di conoscenza e divulgazione delle ricchezze d’Abruzzo sia rimasta la stessa.

Tuttavia forse è naturale che sia così, e cioè che quello dell’Abruzzo dell’interno soprattutto collinare e montano sia per forza di cose un turismo elitario, un turismo per pochi, soprattutto poi se si decide di usare la bicicletta come mezzo di trasporto. L’arrembaggio delle grandi masse forse proprio non si addice a luoghi e paesi che traggono la loro forza proprio da ciò che massificato non è, da ciò che continua a tenersi lontano dai grandi numeri, dalle grandi quantità, per conservare però una qualità indubitabile sia a livello di prodotti tipici della gastronomia sia per monumenti che il passato ha saputo conservare sia per riti e tradizioni che appartengono ad una cultura, quella contadino-arcaica che è sì tramontata, ma i cui effetti in termini di civiltà continuano a farsi sentire.