CANCRO AL SENO “50 mila AMMALATE ALL’ANNO: UNA DONNA SU OTTO È A RISCHIO”

 

CANCRO AL SENO “50 mila AMMALATE ALL’ANNO: UNA DONNA SU OTTO È A RISCHIO”

 

Ogni ora cinque donne italiane scoprono di avere un tumore al seno. Nel 2016 in Italia si sono ammalate di tumore al seno oltre 50 mila donne ovvero 1 donna su 8 in Italia si ammala di tumore al seno nel corso della sua vita.

Per confronto, la proporzione nella popolazione maschile è di un uomo su 620 con circa 500 casi in un anno.

Tra le donne il tumore della mammella rappresenta il 30% delle neoplasie: in media, in assenza di condizioni particolari (come la mutazione genetica nei geni BRCA), il rischio di ciascuna donna di ammalarsi è del 10-12% e la fascia di età con maggiore incidenza è quella tra i 50 e 69 anni.

Nel 2015 le donne che dopo una diagnosi di tumore al seno hanno superato la malattia erano oltre 693 mila.

Ancora troppe, però, sono le donne che muoiono a causa di questa malattia (si stima che in Italia muoia per tumore al seno 1 donna su 33) che si conferma la prima causa di decesso per patologia oncologica nella popolazione femminile, con circa 12 mila vittime l’anno (dato del 2012, fonte: Istat).

Un’esplosione dell’incidenza drammatica, che finisce per limitare i faticosi e costosi successi ottenuti sul fronte delle cure e ci obbliga ad andare oltre l’atteggiamento prevalente della medicina di rispondere solo con ospedali supertecnologici, farmaci intelligenti, esami sofisticati e protesi avanzate mentre ancora poco è l’impegno sulla prevenzione primaria nel campo dell’inquinamento sia ambientale che alimentare.

Tuttavia si è riusciti a raggiungere una sopravvivenza media dopo 5 anni di circa l’87% e la mortalità è in continuo calo: ogni anno diminuisce dell’1,4%, e questo si deve sia all’efficacia delle nuove terapie sia alla diagnosi precoce che permette di individuare il tumore in una fase iniziale.

La predisposizione genetica incide solo per un 5 per cento dei casi mentre uno dei fattori di rischio più documentati è l’esposizione agli estrogeni prodotti dalle ovaie: ogni gravidanza riduce del 7 per cento il rischio di sviluppare la malattia e in una società in cui si hanno meno figli o non se ne hanno affatto questo è significativo. Tuttavia sono le cause ambientali ad essere considerate le responsabili di quella frazione di casi in costante aumento, che oltretutto non trovano spiegazione nei fattori noti o accertati. Preoccupante è soprattutto l’esposizione a sostanze chimiche, specie se avviene nei periodi cruciali dello sviluppo, il periodo embrionale-fetale e la pubertà.

La Lega Tumori ha fatto emergere che dal 1970 al 2010 l’incidenza totale (cioè la diagnosi di nuovi casi) è cresciuta a ritmi vertiginosi, da 11.600 a 50mila ogni anno.

Un aspetto da non sottovalutare è l’importanza  dei costi materiali, morali ed emotivi delle 400 mila donne italiane che combattono, oltre che la malattia, anche i pregiudizi, l’isolamento sociale, l’impoverimento economico, le crisi familiari e gli abbandoni coniugali.

Ci sono i costi a carico del Servizio Sanitario Nazionale per intervento chirurgico, per le sedute di radioterapia, per i cicli di chemioterapia e controlli; il 14% del totale delle spese mediche, però, è a pagamento per visite specialistiche, per esami vari, per fisioterapia e riabilitazione, per farmaci, per la chirurgia ricostruttiva e mastoplastica.

A carico delle pazienti, poi, è l’80% dei presidi sanitari, tra cui le parrucche e le protesi mobili o reggiseni speciali senza considerare le spese per la gestione familiare per colf, badanti, babysitter oltre alle sempre più frequenti trasferte per accedere alle cure; inoltre, quasi una donna su due ha dichiarato di aver subito una riduzione del reddito da lavoro tra il 10% e il 40%.

Secondo la psico-oncologa Marianna Burlando, “tacere gli handicap, le invalidità, le perdite è omissione di verità, è mascheramento della realtà, è pubblicità ingannevole, spesso attuata ad arte con la complicità di volti femminili noti, di donne passate attraverso la malattia che, da testimonial mediatiche quali sono, rincarano il messaggio che dal tumore si esce meglio di prima. Il risultato è che si finisce per perpetuare il dominio dei poteri forti, come i mezzi di comunicazione, la ricerca delle cure e non per prevenire la malattia, l’economia della spesa sanitaria. E questi compaiono, guarda caso, solo dove girano gli interessi”.

La speranza è che, anche se forse a qualcuno prevenire non conviene affatto, prevalga il ‘buon senso’ nel ridurre nei limiti del possibile le cause ambientali e che la ricerca continui verso la scoperta di metodiche diagnostiche sempre più fini ed efficaci per la prevenzione.

 

 

MAMMOGRAFIA IN 3D E TOMOSINTESI: LA NUOVA DIAGNOSTICA NEI TUMORI AL SENO

 

Estremamente efficace e in grado di identificare le neoplasie, aumentando la sensibilità degli esami, è oggi possibile in alcuni centri italiani.

La mammografia in 3D con metodo in Tomosintesi scova, con una elevata accuratezza diagnostica, lesioni tumorali al seno molto piccole con percentuali pari quasi al doppio di quelle offerte dalla mammografia digitale.

Le potenzialità della mammografia in tre dimensioni, combinata a una nuova tecnica chiamata tomosintesi, ha permesso di concludere che la ‘doppia’ (2D + 3D) metodica mammografica è più efficace nel diagnosticare lesioni al seno rispetto alla tradizionale: 41% in più di tumori al seno invasivi localizzati, 15% in meno di richiami per indagini diagnostiche aggiuntive a causa di probabili falsi negativi e 29% in più di ‘veri’ carcinomi mammari riscontrati. La nuova diagnostica è stata attestata da un ampio studio della University of Pennsylvania’s Perelman School of Medicine che ha coinvolto 13 centri statunitensi e condotti su cinquecentomila donne, i cui risultati sono stati pubblicati di recente su The Journal of the American Medical Association.

Questa tecnologia combina immagini convenzionali acquisite a due dimensioni con immagini tridimensionali multistrato ottenibili da un macchinario (la tomosintesi) che, anziché restare fisso, ruota intorno al seno, garantendo una maggiore definizione diagnostica. Come spiega Massimo Calabrese, direttore dell’unità operativa complessa di senologia diagnostica dell’Istituto San Martino di Genova, “la tomosintesi consente di studiare la mammella a ‘strati’, scomponendola in tante sezioni dello spessore di un millimetro, e di evidenziare in maniera più chiara e accurata anche sottili alterazioni indicative di un tumore di piccole dimensioni. Questo significa avere meno falsi negativi o positivi e dunque diagnosticare in modo più preciso i ‘veri’ tumori mammari”.

La Tomosintesi mammaria rappresenta, infatti, una evidente innovazione, se comparata alla Mammografia Digitale 2D, nei casi in cui la sovrapposizione volumetrica delle immagini acquisite con la Mammografia tradizionale (2D) ci impedisce di identificare certi tipi di cancri o crea dei falsi positivi. La rivoluzione di questa tecnica è la possibilità di studiare la mammella anche nella terza dimensione (la profondità), evitando la sovrapposizione delle strutture: infatti spesso molti tumori si ‘nascondono’ dietro il normale tessuto ghiandolare e diventano visibili solo quando raggiungono dimensioni decisamente maggiori rendendo così la prognosi più infausta.

L’indagine, che richiede per la sua attuazione solo qualche minuto in più rispetto alla mammografia digitale, è particolarmente efficace nel caso dei seni densi, in particolare quelli giovanili, più difficili da ‘leggere’ o che possono generare dubbie interpretazioni diagnostiche.

Oltre a tutto ciò, l’eventuale ambiguità dei risultati di una mammografia tradizionale può rendere l’indagine diagnostica un’esperienza piuttosto sconvolgente, accompagnata da ansia e spesso da una non motivata preoccupazione.

Oggi grazie a questa nuova metodica è possibile ridurre al minimo lo stress emotivo delle pazienti: infatti la diminuzione del numero di ripetizioni dell’esame e delle eventuali biopsie le rende più serene e le dispensa da lunghe attese per conoscere i risultati. Inoltre, la mammografia in 3D con metodo in tomosintesi permette di esercitare una compressione graduale e minore durante l’esecuzione dell’indagine, riducendo la sensazione dolorosa generata dalla mammografia tradizionale in 2D.

I vantaggi sono molteplici e allo stato attuale, e con le nuove generazioni di tomosintesi, non esistono ulteriori rischi da esposizione a radiazione; come tranquillizza Calabrese: “non esiste neanche un ipotetico rischio di radiazioni, perché il mammografo acquisisce direttamente gli strati (3D) e ricostruisce con un algoritmo matematico l’immagine in 2D, per cui la dose finale radiante è simile a quella di una mammografia digitale tradizionale”.

Lo specialista conclude affermando che “come il cd ha sostituito il vinile, la tac ha rimpiazzato la radiografia del torace, così la nuova tomosintesi sostituirà la mammografia bidimensionale, anche se i tempi sono difficili da definire”.