RICORDI E…ATTUALITÀ

RICORDI E…ATTUALITÀ

Perché viene utilizzato il termine Jobs act

di Raffaele Simoncini

Ciascuno di noi si porta dietro un corredo abbastanza nutrito di ricordi della propria esistenza, con i sentimenti, gli stati d’animo, i problemi e, per fortuna, anche le vicende entusiasmanti e formative di un’epoca purtroppo passata troppo in fretta!!!! Un particolare posto occupano, in questa serie di ricordi incancellabili di una gioventù alla scoperta del mondo, quelli legati agli anni della cosiddetta adolescenza, quando ciascuno di noi cercava di capire cosa fosse e cosa rappresentasse quel mondo che ci circondava e nel quale eravamo immersi totalmente. Toccato profondamente da esperienze familiari di cui ero stato semplicemente – e passivamente – spettatore, mi sentivo a mio agio solo tra gli amici che frequentavo e che gravitavano tutti attorno alla parrocchia di S. Andrea: quello era l’unico punto di aggregazione giovanile e in quel punto si trascorreva gran parte della nostra vita sociale dell’epoca. Tra le altre “abitudini”, io e gli amici di quell’epoca, avevamo quella di servire la Messa, la domenica e le altre feste comandate o, come accadeva in modo particolare a me, la mattina dei giorni feriali, intorno alle sette, prima di andare a scuola, nel vicinissimo Liceo Classico. Il parroco dell’epoca, tanto austero quanto aperto alla riflessione e alla discussione, mi aveva affibbiato un cosiddetto appellativo-identificativo, come aveva fatto con ciascuno di noi. Il parroco mi apostrofava, quasi sempre, con l’appellativo di “filosofo”, solo perché, nel mentre che ci si preparava e addobbava per la Messa, gli ponevo questioni per me irrisolte. Ad esempio, era allora una mia esigenza ben chiara cercare di capire cosa potessero dire le poche vecchiette della “marina”, puntualmente paludate di nero come la pece, e cosa potessero capire del latino, considerata la loro ignoranza pressoché totale della lingua italiana e, ovviamente, della lingua latina. La Messa era ancora detta in latino, il sacerdote la celebrava, dando la schiena ai fedeli, e la cerimonia tutta aveva ancora quell’aureola di mistico e di “sacro”, che oggi è andata totalmente persa. Di qui quell’appellativo di “filosofo”, che poi ha contraddistinto tutta la mia vita di studi e professionale. Facciamo un salto al presente, ma poniamoci la stessa domanda di allora: se quelle vecchiette – e gran parte dei fedeli dell’epoca – biascicavano una sorta di litania incomprensibile, senza sapere cosa dicessero, cosa accade al presente per tutti coloro che sentono formulare e ripetere espressioni in lingua inglese, per denotare aspetti i più diversi della nostra realtà politica e socio-economica? Con ogni probabilità commettono lo stesso errore di quelle vecchiette: dicono – perché hanno sentito dire e ripetere quasi sempre in televisione – e usano formulare, senza averne il significato pieno a disposizione. Un esempio per tutti può bastare ed essere la cartina di tornasole di ciò che sto dicendo. Da qualche tempo, in modo ossessivo, i mezzi di comunicazione di massa rinviano l’espressione “JOBS ACT”, come se si dicesse “buongiorno” al condomino che s’incontra quotidianamente in ascensore. Quanti sanno veramente cosa significa questa espressione, densa invece di significati sociali ed economici? Ho provato a chiedere a più operai e lavoratori/lavoratrici cosa abbiano di ben chiaro e comprensibile di questa espressione, ma pochi sanno muoversi con chiarezza concettuale e conoscendo bene le implicazioni della terminologia “tecnica” – due di costoro sono abitualmente impegnati nei sindacati –. Non discuto dei contenuti specifici e delle norme applicative che derivano da questo “JOBS ACT”, approvato dal governo Renzi, tra il 2014 e il 2015. Non è questa la sede idonea e, d’altra parte, il mio interesse specifico è legato all’uso chiaro e consapevole della lingua, qualunque essa sia. A parte il fatto che questa dizione linguistica in inglese scimmiotta una espressione (in stretto uso linguistico si dice “acronimo”….) utilizzata dal presidente Obama, nel 2012, per descrivere una normativa con contenuti totalmente diversi dal “JOBS ACT”, mi pongo la questione centrale: perché utilizzare una espressione inglese, quando sarebbe stato facile e di ben chiara comprensione definire queste norme con il suo significato diretto e definitivo di “LEGGE SUL LAVORO”??? In Francia, il governo del presidente Hollande ha formulato una legge, a cui è stato dato il nome pubblico ed ufficiale di “Loi du travail”: perfino chi ha poca o nulla conoscenza della lingua francese saprebbe tradurre, in italiano, l’espressione “Loi du travail” con “legge sul lavoro”!!!!! Ne derivano due precise conseguenze: o i nostri governanti usano espressioni inglesi, perché “riempiono la bocca” e li fanno sentire più “europei”, più culturalmente preparati, più conoscitori di una lingua pressoché ignorata dai più, o usano terminologie “tecniche” derubate ad altri governi, per normative simili, onde evitare che si capisca bene di cosa si stia parlando e per “attutire” l’impatto socioeconomico di certe scelte politiche, che potrebbero avere riflessi pesanti nel mondo che ne viene direttamente implicato? Nell’un caso, sarebbe l’ennesima dimostrazione del nostro provincialismo culturale e del nostro sentirci inadeguati, se non si prende in uso e abuso una lingua straniera: basta guardarci intorno, per avere conferma immediata di quel che dico. Nel secondo caso, vi sarebbe, al fondo, una profonda malafede e una esplicita volontà di non far capire ai più, per poter agire con le mani libere, confidando in questa ignoranza diffusa!!! È una strategia beffarda e ingiusta, di cui, prima o dopo, si pagano le conseguenze. Il grande Machiavelli, nel Principe, affermava che, tra le doti più significative di chi detiene il potere, vi deve essere “il saper dissimulare”: il far passare per vero e certo, ciò che invece è falso. Sarebbe questo il modo, secondo Machiavelli, di esprimere ciò che oggi si dice ‘POST-VERITA’!! Proveremo a parlare anche di questo, se ce ne sarà l’occasione.