Il brigante Cicconetto di Montesilvano

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Il brigantaggio in Abruzzo ebbe vita in due periodi ben precisi della sua storia: quello della dominazione spagnola dalla metà del 1500 alla fine del 1700 denominato “Brigantaggio antispagnolo” e quello dell’Unità d’Italia nella seconda metà del 1800 denominato “Brigantaggio pro-borbonico”.

Vi sono numerosi elementi comuni causali del brigantaggio abruzzese in questi due periodi anche se le vicende sono chiaramente diverse.

Nella graduatoria delle motivazioni che hanno favorito il brigantaggio al primo posto vi è la povertà della popolazione contadina angariata dai feudatari e dalla gerarchia ecclesiastica con l’eccessivo fiscalismo tributario, seguita dai motivi politici e dallo spirito di rivolta dei contadini contro i “galantuomini”.

Il brigantaggio antispagnolo nacque agli inizi del 1500, si sviluppò rapidamente in tutto il Regno di Napoli ed in Abruzzo arrivò verso la fine del secolo e qui riconobbe come capo incontrastato Marco Sciarra, detto “re della campagna”, le cui imprese leggendarie passarono alla storia anche per l’efferatezza delle azioni ed i numerosi omicidi.

Marco Sciarra, secondo lo storiografo Rosario Villari, si autoproclamava commissario mandato da Dio contro gli usurai e contro gli affamatori del popolo.

L’isolamento dei briganti dai parenti divenne il primo obiettivo dell’azione di ristabilimento dell’ordine e per le profonde radici che quel sistema di solidarietà aveva nelle campagne finì col trasformare la lotta contro il banditismo in una generale azione repressiva contro tutto il mondo rurale.

Anche Montesilvano partecipò con uno dei suoi figli (Cicconetto) al brigantaggio antispagnolo.

Francescantonio Ventura Di Domenico di Tiberio di Montone e di Francesca di Montesilvano, da tutti chiamato Cicconetto,nacque il 23 maggio 1632 a Montesilvano.

Entrò a far parte della banda di Sante Lucidi Di Giovanni, detto Santuccio di Froscia, pronipote del famoso Marco Sciarra, con il ruolo di comandante di una “comitiva”, il cui numero di uomini oscillava in rapporto all’ importanza delle missioni da compiere, riscuotendo indiscussa fiducia dagli altri “caporali”, come allora venivano chiamati i capi, per la sua lealtà ed il suo ardimento.

Nel 1667 partecipò alla razzìa della fiera di Pianella.

Nel 1669 partecipò a scorribande rifornitrici di vettovaglie e denaro nelle province di Aquila e Lucera, nel 1671 nei paesi tra il Vomano ed il Pescara.

Nel 1675 venne messa sulla sua testa la taglia di 300 ducati.

Nell’ autunno del 1678 evase dal carcere di Napoli dove era stato rinchiuso dopo essere stato catturato.

Incurante del pericolo nelle campagne di Torricella Sicura mieteva, macinava e poi trasportava in montagna la farina per i compagni.

Nel luglio 1683 venne di nuovo catturato assieme a 90 suoi compagni, ma durante il viaggio verso la prigione di Napoli tutti i prigionieri abbandonarono i loro accompagnatori, che non tentarono nemmeno di inseguirli.

Assalì successivamente con i suoi compagni le ville di Tossicia, le campagne di Città S. Angelo e le pianure bagnate dal Salinello.

Dal 12 giugno 1684 la taglia sulla sua testa venne portata a mille ducati e prevedeva anche l’arresto dei parenti stretti ed il sequestro dei loro beni.

Alla fine del 1684, per sfuggire ad una nuova cattura, si arruolò al servizio della Repubblica di Venezia per combattere i Turchi e si coprì di gloria tanto da raggiungere il grado di tenente sotto il comando del duca di Mantova.

Per il carattere carismatico e la lealtà manifestata verso i suoi compagni ma anche per il rispetto che si era guadagnato tra i suoi nemici e nella popolazione alcuni lo hanno definito il Robin Hood di Montesilvano.

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