ENRICO DI CENSO Chi eravamo

ENRICO DI CENSO

di Erminia Mantini

Negli anni Cinquanta Montesilvano ebbe una sezione di Scuola Media, succursale della Tinozzi di Pescara, ubicata in una delle case dei Delfico, lungo via Silvio Spaventa. Alcuni che andavano all’Istituto Ravasco tornarono in paese e molti che avevano interrotto, ripresero gli studi.

I ragazzi che già si conoscevano tutti per i giochi nella “piazzetta”, si ritrovarono sui banchi di scuola: Piergiorgio, Vitaliano, Argentina, Pierdante, Gianfranco, Teresa, Gianna.

Qualche anno dopo, su via D’Annunzio, si aprì la Scuola di Avviamento Professionale,di cui fu acceso promotore e Segretario Enrico Di Censo, sotto la direzione della Preside Romilde Pannunzio,con i mitici bidelli Millo e Schino. Poi, quando nel ’63 fu istituita la Scuola Media Unificata, Enrico ne divenne il Segretario e vi restò per quarant’anni, fino alla pensione.

La sua competenza professionale era nota nell’intera provincia di Pescara e non ci fu segretario che non l’abbia interpellato almeno una volta per l’interpretazione di norme, circolari e decreti e le relative applicazioni. Alcuni andavano anche a casa sua per risolvere dubbi e contraddizioni. Era, infatti, uno studioso rigoroso delle norme e costruì negli anni una preparazione tale, che gli consentiva di individuare scuciture utili a dare una mano al prossimo. Sono tanti in città a provare gratitudine per Enrico, che indirizzava e consigliava i precari a trovare la strada giusta per un lavoro stabile, gli adulti che necessitavano della licenza media per aprire un’attività, a frequentare le scuole serali; e alle parole faceva seguire i fatti, poiché li agevolava, sbrigando tutte le pratiche burocratiche necessarie. Si immedesimava nei problemi di ciascuno, come fosse il suo e cercava di incoraggiare a trovare la migliore soluzione possibile. Era stimato da tutti per serietà, moralità,competenza. Un comportamento respirato in famiglia: secondogenito di undici figli, che mamma Crocilde e papà Alberto hanno responsabilizzato, con affetto e rigore: con il negozio, la trattoria da portare avanti e i numerosi fratelli, bisognava rimboccarsi le maniche, essere pronti a tutte le emergenze ed imparare a sfaccendare e, soprattutto, a cucinare. Prima della guerra, compì i suoi primi studi a Roma, come decidevano allora le famiglie benestanti; poi li proseguì a Pescara, da interno, presso il Collegio Aterno, infine all’Istituto Acerbo, dove si diplomò ragioniere. La sua infanzia fu segnata dalla guerra: sfollati come tanti a Collecorvino, accompagnava il padre nelle sortite a Montesilvano, per rifornirsi di cibarie. Raccontava spesso alcuni episodi, uno in particolare. Un giorno dei soldati tedeschi entrarono nella casa dove erano ospitati e chiesero come mai suo padre non fosse in guerra. La giustificazione dell’esonero per famiglia numerosa non sembrò soddisfare, e, armi alla mano, volevano portarsi via il padre. La mamma implorava pietà,mostrando e stringendo a sé i suoi piccoli, mentre la battagliera nonna Anna nascondeva sotto il grande grembiule il coltellaccio, che avrebbe usato al bisogno. Miracolosamente il padrone di casa tirò fuori un fiasco di vino e una fisarmonica: bevvero, si ubriacarono, ballarono e la tragedia fu evitata, ma le sensazioni provate si sedimentarono dentro di lui.
Serio, professionale, preparatissimo, era apprezzato e benvoluto per l’incomparabile integrità morale e una coerenza senza eccezioni. Orgoglioso e un po’ introverso, non lasciava trapelare la sua pasta d’uomo, forse per un eccesso di pudore. “Faceva difficoltà anche a darci una carezza – racconta visibilmente commosso il primogenito Alberto – e questo ci procurava sofferenza, finché eravamo piccoli e adolescenti. Solo più tardi, soprattutto quando anche noi stavamo compiendo il percorso di genitori, scoprimmo la grande ricchezza interiore di papà. Un uomo più che onesto, direi trasparente, capace di dare senza mai pretendere nulla in cambio, disponibile a sopportare qualunque sacrificio per noi figli. Attraverso l’esempio, da lui abbiamo interiorizzato il rispetto delle regole, la lealtà nel rapporto con gli altri, la memoria dell’aiuto ricevuto attraverso la gratitudine”.

Nel ’60 Enrico si era infatti sposato con Gianna Di Censo: i loro tre figli Alberto, Giordano e Carla sono pienamente realizzati nella strada intrapresa ed Enrico li ha sempre consigliati e agevolati, senza dirigere in alcun modo la loro esistenza, aiutandoli a valorizzare i personali talenti. Durante i primi anni di matrimonio, dava una mano a Giampiero a portare la contabilità del mobilificio Di Giacomo e impartiva anche lezioni di francese e d’inglese. Dopo la morte della madre, si legò moltissimo alla sorella Teresa: si scoprirono a vicenda diventando punto di riferimento l’uno per l’altro. Con il cognato Pasqualino Cavicchia condivideva, invece, le lunghe ore trascorse al mare, seduti tra le onde a scovare telline: se ne riempivano bottiglie intere tra simpatiche conversazioni e inevitabili sfottò. Enrico poi trasformava il pescato in piatti dal sapore ineguagliabile. Infatti egli era un cuoco appassionato, soprattutto di pesce. Era lui a cucinare nelle ricorrenti cene organizzate nella taverna di Vittorio Agostinone, suo amico fraterno; ai gustatori fissi, Carlo Mastrangelo, Nino Volpe e Manfredo Piattella, se ne aggiungevano altri di volta in volta. Anche i figli e i nipoti adoravano i suoi piatti di pesce, le sue melanzane alla parmigiana. Il nipote Mattia, già portato per l’arte culinaria, scendeva dal nonno mentre cucinava e osservava quei particolari che fanno la differenza: ora è Mattia a preparare cene gustosissime per familiari ed amici. Enrico amava anche la coltivazione dei campi: inizialmente aveva affittato un casolare a Collecorvino, poi l’amico Vittorio gli affidò un piccolo appezzamento alla Colonnetta e lì trascorreva ore felici. Seminava e piantava di tutto ed elargiva sani prodotti a parenti ed amici, soprattutto ceste di frutta profumata. Poi,nel tardo pomeriggio come tutti, andava in piazza del municipio, la pera; nella cerchia di amici si parlava delle vicende di Montesilvano e, naturalmente, di politica. Il desiderio di dare uno scossone alla vecchia Democrazia Cristiana prendeva sempre più corpo e culminò nella formazione di una lista civica, il Rinnovamento Democratico Cittadino, di cui Enrico fu fervido promotore. Il successo ottenuto convinse il gruppo dei benpensanti ad appoggiarsi ad una struttura partitica, quella del Partito Repubblicano, allora guidato da Pernini. Fu eletto sindaco Vittorio Agostinone ed Enrico fu nominato Presidente della Commissione Edilizia. Era il ’75,nel pieno del boom economico, con inevitabili interessi in campo, fortemente concorrenziali: la rettitudine di Enrico e la totale estraneità al più piccolo compromesso lo spinsero ad abbandonare l’incarico.
<La morte del carissimo Vittorio lo rese cupo; si era immalinconito, si capiva che pensava alla morte> racconta la sorella Teresa <ed è morto come desiderava, senza infastidire nessuno, nel sonno>. E Gianna riferisce che ogni Natale il Direttore Didattico Bini inviava gli auguri, indirizzando puntualmente la busta al Segretario dei Segretari.

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