La strada dell’oro -7/10 Quaggiù il cielo è più vicino

Quaggiù il cielo è più vicino

Parte Settima di Dieci – La strada dell’oro

di Emilio Pirraglia

Strade di polvere rossa, costeggiate da baracche di lamiera, con stracci appesi a coprire una flebile intimità. Bancarelle di frutta a un incrocio, banane e mango, donne bambine ad attendere compratori. Venditori ambulanti di tute in acetato della adidas, orologi e bracciali. Pick-up carichi di sacchi di cipolla e riso, pronti per essere coperti con teli di plastica perché le nuvole si stavano addensando. Buste di plastica, carta sporca e bucce di banana ovunque. Se ne stavamo con i gomiti appoggiati al pick-up che doveva portarli a Dindefelo, senza parlare. Alex accendeva una sigaretta ogni tanto per passare il tempo e si guardava intorno. Avevano caricato i pesanti zaini sporchi di terra, aspettando che si facessero vivi altri cinque passeggeri per condividere le spese di viaggio. Erano i primi di quella mattinata. Decisero di comprare un paio di banane, non mangiavano dalla mattina presto e si erano fatte le due di pomeriggio. Il caldo era umido e soffocante, sarebbe arrivata la pioggia. Sotto una baracca stavano cucinando uno spezzatino di vitello in un grosso pentolone che avevano riempito di pezzi di carne e cipolla bianca. Un grosso nero stava lì a rimestare di tanto in tanto, tenendo viva la brace di carboni. Venne la pioggia, non se ne curarono, Alex lasciò che iniziasse a bagnare la maglietta bianca a maniche lunghe, chiazzata di terra, sudore e fatica, e quando le gocce iniziarono a farsi insistenti cercò con gli occhi un riparo. Poco distante, sotto una tettoia in lamiera stava una anziana signora, con alcuni bambini intorno, gli sorrise con i suoi pochi denti striati di marrone. Ricambiò il sorriso e si incamminarono verso di lei. Si strinsero tutti insieme sopra delle assi di legno. Qualcuno le porse una ciotola di quello spezzatino e lei gli fece cenno se volevano favorire. Rifiutarono con un gesto, anche perché non avrebbero saputo dirle una parola nella sua lingua e lei non avrebbe capito la loro. Si mise a mangiare con un cucchiaio di stagno. I bambini che le stavano intorno la stavano a guardare, evidentemente dovevano mangiare prima i vecchi e poi i bambini. Se ne stavano così seduti a guardare la pioggia che abbatteva la polvere e riempiva l’aria di un odore che si assomigliava a quello di un cane a pelo lungo bagnato. Alex si trovò a guardare in terra, un paio di piccoli vermi bianchi si stavano avvicinando ai suoi scarponi da trekking marroni. Erano di quei vermi che di solito si riproducono nella carne avariata. Posò gli occhi sulla ciotola della signora, che lentamente si sorbiva il brodo acquoso e di tanto intanto si metteva in bocca uno dei pezzi di carne che galleggiava dentro.

«Andrea! Andrea!». Sentirono gridare a un tratto, l’acquazzone stava lasciando di nuovo spazio al cielo azzurro, era Habibou (Andrea era il vero nome del sergente Bricco). L’avevano incontrato sul pullman che portava a Kedougou e gli aveva raccontato un pezzo della sua vita. Aveva vissuto in Italia per circa trent’anni, lavorando come metalmeccanico in una fabbrica vicino a Torino, fino a quando si era stancato. Era un uomo alto almeno due metri e dieci, e doveva pesare centoventi chili (di muscoli), aveva un collo grande come la testa di Alex, pelato. Habibou aveva tre mogli, sparse in tre diverse città del Senegal, e sette figli. Li guardò in un modo strano quando li vide, come se si fosse accorto che avevano qualcosa da nascondere. Era stato molto gentile con loro e aveva indicato loro una banca dove ritirare dei soldi appena scesi dall’autobus. Ora che lo incontravano dopo qualche ora, vedersi guardare in quel modo li mise a disagio. Il sergente (che aveva stretto molta amicizia con lui sul pullman) gli chiese se ci fosse qualcosa che non andava. «Perché siete qui? – chiese a bruciapelo – Non sembrate i classici turisti che vengono con fuoristrada e guida al seguito». Andrea inghiottì della saliva. L’uomo continuò a guardarlo e socchiuse gli occhi: «Li conosco quelli come voi. Siete qui per l’oro!».

Andrea sorrise e lo guardò cercando un’intesa, ma lui fece una smorfia. «Tutti uguali voi bianchi, con quegli occhi furtivi che cercano sempre di trovare guadagno da qualsiasi cosa. Ho vissuto tra voi e niente vi attrae più della ricchezza. Dovunque ci sia da prendere prendete, dovunque ci sia da sfruttare sfruttate, con le lancette che vi corrono dietro, dei secondi, dei minuti e delle ore, non avete tempo da perdere a guardare, non avete tempo da perdere con noi qui seduti a vivere una vita che scorre sempre uguale, e sperare in una ciotola che ci sfami». Andrea sospirò, visibilmente infastidito: «Habibou, ti sto forse rompendo le scatole? Tu cerchi di racimolare soldi vendendo magliette (cercando di lavorare il meno possibile) e noi cerchiamo altre strade. Alex si alzò e si stiracchiò alla luce del sole che trapelava dalle nuvole (aveva smesso di piovere di colpo), poi si diede un’occhiata intorno: «Solo una questione di metodo, Habibou». L’uomo si alzò col viso contratto come se avesse sentito un cattivo odore. Scosse la testa, si mise sotto braccio la sua merce: «Tutti uguali!». Se ne andò per la sua strada. Di solito quando le persone si salutano in quelle zone si porgono la mano, ma lui non lo fece. Andrea scrollò le spalle, era evidente che non si capivano. Intorno a loro c’erano capannelli di persone appollaiate un poco ovunque, a parlare, a trafficare con qualcosa, a fumare mozziconi di sigarette tirate fuori dalla tasca di una camicia. Alex avvertì tutto il peso della differenza, bianchi e neri, distanti anni luce. Nel loro occidente farcito di consumismo e di belle parole, sgretolate dalla mazza violenta della natura umana, uguale e diversa per destino e storia. Un popolo arrancante, inseguitore di una civiltà millenaria, fatta di mattoni, opere d’arte, illuminismo e rivoluzione industriale. Inseguitore di cosa? Vestiti, auto, cibo in abbondanza, case confortevoli, eppure legata a doppio nodo con una corda spessa come quelle che si usano per legare le grandi navi mercantili. Una corda fatta di storia radicata alla terra e alla natura, priva di tempo e ragione, immutabile come le montagne. Alex guardò Andrea negli occhi per leggerci l’ostilità verso quel luogo. Erano lì per l’oro e niente li avrebbe fermati.

Fine parte Settima di Dieci

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