Quaggiù il cielo è più vicino: Si Parte_quarta parte

Quaggiù il cielo è più vicino: Si parte

di Emilio Pirraglia

Parte quarta di dieci – Si parte

Il sergente e il ragazzo col braccio rotto raggiunsero il rifugio in mezz’ora di cammino. Era una piccola costruzione in legno, dentro c’erano un camino, un tavolo e quattro sedie. Bricco accese il fuoco, mentre Alessandro si accasciò esausto su una sedia, mettendo il braccio buono sul tavolo per usarlo come cuscino. Provava un dolore atroce, che non accennava a diminuire. Il sergente rovistò in una cassa di quercia appoggiata a una parete e vi trovò una cassetta del pronto soccorso: c’era dentro una scatola di antidolorifici in pillole, ne porse un paio ad Alex. Dopo una mezz’ora l’ambiente si era scaldato e il sergente tolse la giacca, il cappello e i guanti. Anche Alessandro si tolse il cappello, ma non poteva fare altro, perché qualsiasi movimento per togliere la giacca gli avrebbe provocato dolore. Le lacrime iniziarono a rotolargli sul volto all’improvviso, in automatico. Il compagno, che stava attizzando il fuoco non se ne accorse subito, alzò lo sguardo verso il ragazzo: «Ora ci vorrebbe una bella birra… . Ehi Alex che ti prende?».

«Niente niente» si affrettò a rispondere il ragazzo asciugandosi il viso con la mano. «Be’, non si piange per niente» rispose l’altro tornando ad attizzare il fuoco con un bastoncino di legno. «Ho avuto paura, ecco tutto. – continuò Alessandro – Ora sto scaricando la tensione».

«Mi sembra normale». Alex scosse la testa, mentre le lacrime continuavano ancora a scendere: «No, non è normale. Quando stavo lì steso a terra, per un momento ho sperato che la neve cedesse, così da portarmi giù». Il sergente si voltò di scatto verso il ragazzo: «É una cosa grossa da dire».

«Ho sempre pensato che le persone che si uccidono per amore sono degli idioti. Gente senza razionalità, che si annulla per un’altra persona, al punto tale da considerare inutile la propria vita senza un sostegno. Oggi mi sono sentito un idiota anch’io». L’uomo vicino al fuoco si alzò, gettò il pezzo di legno con cui stava armeggiando tra le fiamme, si avvicinò al ragazzo. Gli mise una mano sulla spalla: «Quando ero in Iraq ho visto le cose più atroci fatte agli esseri umani. Cose cui stentavo a credere, anche se erano sotto i miei occhi. Quello che ti posso dire è che quando la vita è a repentaglio e ti accorgi che potresti perderla da un momento all’altro, ti rendi conto di quanto sia importante vivere, anche un solo giorno in più. Pensare soltanto di togliersi la vita, equivale a toglierla a qualcun altro». Alessandro si mosse a cercare gli occhi del suo interlocutore: «Non ho più niente. Lavoro dieci ore al giorno per cosa? Speravo di costruire una vita con Rebecca e i soldi che guadagnavo li avrei spesi per costruire una famiglia felice, a cui non avrei fatto mancare niente. Mi alzavo felice la mattina, anche se uscivo dall’ufficio tardi ogni giorno e uscivo raramente alla luce del sole, sapevo che erano per uno scopo. Ora sono confinato in quelle mura di acciaio e vetro e mi sento inutile, burattino per un accredito mensile. Tutti i giorni sono fotocopie di una routine. Spendo i miei soldi per la pay tv e per bere nel week-end, tutti i week-end. Rebecca ha distrutto i miei sogni».

«Amico, – disse il sergente piano, con voce calma – non immagini neanche quanto ti capisco. L’esercito era la mia casa, tra di noi lo chiamavamo mamma esercito». Sorrise, come stesse ricordando qualcosa di piacevole. «Quando l’ho lasciato, ho pensato che la mia vita fosse finita. – Scosse la testa. – Un mese è passato e ancora sono qui. Mi mancano i miei commilitoni, le giornate di addestramento e anche le missioni, ma ho scoperto che quello era un mondo a parte, che mi escludeva dalla vita vera, come in un universo parallelo. Quando un episodio mi ha riportato alla realtà cruda e spietata, ho capito che quello che stavo facendo era tutto sbagliato e che i miei superiori, i soldati a me vicini, vivevano e mi facevano vivere in quella bugia». Abbassò la testa, vinto dai suoi spiacevoli ricordi. Si riprese: «Ho deciso di partire. Voglio vedere il vero mondo, quello che ci nascondono, ma non so da dove cominciare». Alessandro quasi si vergognò di lamentarsi dei suoi stupidi problemi di cuore, sentendo che l’ex militare doveva averne passate di peggio. Sorrise: «Io ultimamente non faccio altro che guardare la tv». Il sergente lo guardò, corrucciando la fronte. «Mi prenderai per stupido, ­ continuò il ragazzo ­ ma io so dove puoi iniziare il tuo viaggio, e se vuoi verrò con te». Il sergente Bricco scosse la testa: «Scusa, ma non ti seguo». Alessandro gli spiegò che aveva visto qualche giorno prima un documentario sulla nascita dell’uomo sulla terra e come si era diffuso nel mondo. Secondo questo documentario, la culla dell’uomo era stata l’Africa ed era lì che si respirava l’essenza della vita e del suo significato. Secondo lui, se uno doveva ricominciare, perché non da dove tutto era partito?

Bussarono alla porta. Si voltarono entrambi in direzione dell’uscio. Il sergente batté due volte la mano sulla spalla del ragazzo e si avviò ad aprire, ma gli ospiti impazienti aprirono la porta. Era il Faina, con al seguito tre persone in tuta arancione, il soccorso alpino. Alex fece un largo sorriso e tirò un sospiro di sollievo.

Fine parte quarta di dieci

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