Quaggiù il cielo è più vicino: Alessandro _Parte seconda

Quaggiù il cielo è più vicino

di Emilio Pirraglia

Parte Seconda – Alessandro

Se ne stava in piedi a guardare la tivù, l’edizione speciale del telegiornale dava la notizia dell’attendato in Afghanistan. «Sei pronta amore? – gridò alla ragazza che stava chiusa in bagno da un’ora – fra poco i negozi chiudono». «Eccomi» gli rispose lei uscendo dal bagno, con i capelli neri raccolti dietro, il trucco leggero a sottolineare il contorno occhi, jeans e tacchi alti. L’uomo le sorrise, pensando che l’attesa era valsa la pena.

Le strade del centro erano affollate. Una leggera pioggia aveva bagnato il marciapiede e l’aria era frizzante. Il ragazzo aveva le mani in tasca e la ragazza gli stava sottobraccio. Lei lo strattonava di continuo, fermandosi a tutte le vetrine. «Ehi amore, guarda quel cappotto. Faccio fatica ad aspettare i saldi». Il ragazzo dava un’occhiata veloce alla vetrina, la guardava e le sorrideva: «Mancano solo due giorni». E così continuavano tutto il pomeriggio, ora era un cappotto, ora una sciarpa. «Entriamo in quel negozio. Solo un minuto». Gli diceva lei con voce supplicante. Lui strabuzzava gli occhi e sbuffava, già sapeva che avrebbero passato interminabili minuti in un negozio di scarpe. Alla fine le avrebbe comprato una maglia, una sciarpa e anche il cappotto. Mentre lei provava un abito, lui si sedette su una specie di poltrona e prese il telefono. L’ennesima mail di lavoro. La lesse di fretta e si alzò in piedi. «Ehi amore, dai andiamo che ho da fare». Lei gli fece eco di aspettare un minuto che si stava rivestendo. Passarono alla cassa a pagare e uscirono. «Mi cercano dall’ufficio, purtroppo devo andare per un paio di ore». Lei lo guardò ancora: «Ma è domenica!».

«Starò via solo un paio di ore, promesso».

«Dici sempre così, poi domenica scorsa sei stato via fino alle nove di sera».

Raggiunsero l’auto, una Mercedes nera. Mentre guidava verso casa, Alessandro guardava ogni tanto Rebecca, che armeggiava con il telefonino. «Ehi, che fai?» le chiese. Lei si voltò verso di lui sorridendo «Scrivo a un’amica, visto che sei via le chiedo se vuole venire a studiare a casa con me oggi pomeriggio». Il ragazzo sorrise: «Tra quanto hai l’esame?». Lei distolse di nuovo lo sguardo dallo schermo del cellulare: «Tra due settimane e, se tutto va bene, tra sei mesi sarò anche io laureata».

Era un anno che vivevano insieme, lui andava al lavoro, lei studiava a casa. Le preparava la cena quando tornava la sera dalla biblioteca, cercava di aiutarla nello studio, la manteneva. Rebecca aveva perso entrambi i genitori in un incidente d’auto e lui le era stato vicino. All’inizio non era stato facile. Una sera le aveva chiesto di uscire e lei gli aveva detto subito sì. A cena avevano bevuto una bottiglia di vino rosso e avevano mangiato una tagliata di carne. L’aveva invitata a casa e avevano fatto l’amore; da allora lei non se ne era più andata. Una settimana dopo aveva già tutte le sue cose da lui, aveva dato un bacio in fronte ai nonni e si era trasferita. Alessandro aveva già deciso da un pezzo. Glielo avrebbe chiesto il giorno stesso della laurea. Le avrebbe messo in testa la corona di alloro e porto un mazzo di fiori, si sarebbe inginocchiato davanti a tutti, aperto un cofanetto con dentro un anello con un brillante lucente come il sole, e le avrebbe chiesto di sposarlo.

La ragazza lo riscosse dai suoi pensieri. «Ehi, devi girare a destra, siamo arrivati». Alessandro ritornò al mondo reale e azionò la freccia per svoltare lungo il vialetto di casa. «Lasciami pure sotto casa e vai». Continuò la ragazza. «Vuoi che ti aiuti con le buste dei vestiti?». Lei lo guardò e gli sorrise, gli diede un bacio fugace sulla bocca e uscì dall’auto. In ufficio trovò tre suoi colleghi ad aspettarlo. Accese il computer e iniziarono a discutere del nuovo progetto di cui lui era stato nominato responsabile, mirava alla promozione in ballo, e non voleva fallire. Si ripromise di lavorare per sole due ore e così fece. Quando si alzò dalla sedia per salutare i colleghi, questi rimasero stupiti di come Alessandro Boretti quel giorno avesse lavorato solo per due ore. «Questa volta voglio passare un po’ di tempo con la mia ragazza» disse salutando tutti.

Si mise in macchina, inserì le chiavi nel cruscotto e pensò di fare una sorpresa a Rebecca, passò in pasticceria e prese un vassoio di mignon. Si fermò sul pianerottolo di casa e inserì la chiave nella toppa. Aprì la porta piano, e la richiuse con cura alle sue spalle, provocando solo un lieve rumore di scatto della serratura. Poggiò il vassoio di dolci sul tavolo, accanto a una bottiglia di vino svuotata. Si sentiva solo un lieve rumore continuo e soffocato provenire dallo studio, come quando uno batte una mano contro l’altra a ritmo, e gridolini di donna. Aprì la porta della camera, alla scrivania contro il muro stava in piedi Rebecca, con i gomiti appoggiati sul piano di lavoro, nuda, un uomo la scopava da dietro con forza emettendo grugniti sommessi. Lei ansimava piano, emettendo di tanto in tanto gridolini di piacere. L’uomo sulla porta fece un passo indietro, tornò in sala, prese la bottiglia vuota dal tavolo e andò a fracassarla in testa all’uomo che stava infilando il suo uccello fra le gambe della sua ragazza. Lo scopatore cadde come un sacco, grottesco nella sua nudità. Rebecca si voltò sgranando gli occhi in quelli di Alessandro, che stringeva il collo della bottiglia rotta talmente forte che la mano si era fatta violacea. «Ale – gli disse con un filo di voce – non è stata colpa mia».

Fine Parte Seconda

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