Venezuela, un paese da abbandonare

via mail da Mario Serpone

Gentile direttore

Sono Mario Serpone, un ragazzo 20enne venezuelano, con genitori venezuelani e nonni italiani che da otto mesi, alla ricerca di una migliore condizione, si è trasferito con la famiglia a Pescara.

Descritto da Cristoforo Colombo come la “terra di grazie”, il Venezuela oggi è allo sbando economico e sociale. Con un epiteto il FMI (Fondo Monetario Internazionale) ha detto che la nazione ha concluso l’anno 2016 con un bilancio “negativo”. 700% di inflazione, il 12% della popolazione mangia due volte al giorno o meno, il 40% della popolazione ha una dieta limitata a mais, riso, pasta e grassi, perché più economici, e l’ 87% di essa dichiara che le entrate non sono sufficienti per sfamare tutta la famiglia. Nel Paese vige il controllo del cambio. Non tutti hanno accesso alle divise straniere e si alimenta un costoso mercato nero. Le produzioni non trovano finanziamenti, arrancano, chiudono e aumenta così la dipendenza dalle importazioni che lo stesso Governo limita. Miseria e fame hanno generato violenza. Il Venezuela ha chiuso l’anno 2016 con un bilancio di 28.479 morti violente, una ogni 20 minuti, 78 in ogni giorno.

Ma il Venezuela è povero o mal gestito? Il Venezuela ha la più grande riserva di petrolio del mondo, la riserva di oro più grande dell’America Latina, la nona riserva mondiale di gas naturale e immense riserve di bauxite, acero, uranio e silicio. Fino a pochi anni fa l’esportazione delle materie prime costituiva oltre l’80 per cento delle entrate dello Stato. Nel 2009 il Paese aveva accumulato una riserva internazionale di circa 30 miliardi di dollari. Oggi è di 10 ed è poco chiaro come si sia consumata. È vero che il prezzo delle materie prime è sceso negli ultimi anni, ma non giustifica da solo una situazione del genere.

 Dove sono i fondi? Come siamo arrivati a questo punto? Anche questo si chiede la massa di persone che stanno affollando le strade in rivolta. Una fame diffusa è stata la polveriera, la decisione del TSJ (Tribunale Supremo di Giustizia), di togliere poteri al parlamento è stata la miccia che l’ha fatta esplodere. La folla ha sconfitto la paura rimasta della protesta del 12 febbraio 2014, la cui repressione portò 43 morti, 1.032 feriti, più di tremila arrestati e un leader politico condannato a 13 anni di galera. Il popolo venezuelano è ritornato a prendere le strade, a fare le “garimbas” (proteste tramite asserragliamenti). Il Governo ha risposto con l’annuncio della uscita della OEA (Organizzazione degli Stati Americani), la proposta di una riforma costituzionale che permetterebbe all’ormai dittatore Maduro di continuare a governare con violenza, tanta violenza, che ha già lasciato (dato aggiornato a fine aprile) più di 40 morti, più di 5.000 feriti e almeno 1.500 arrestati.

Le scrivo questa lettera, direttore, perché mi piacerebbe vedere l’opinione pubblica italiana interessata agli avvenimenti e per conoscere l’opinione sua e dei miei nuovi concittadini. Un saluto.

Risposta del direttore: Gentilissimo sig. Serpone, rispondo alla sua lettera con un senso di impotenza rispetto a quanto accade in Venezuela. Non le nascondo che quando ho letto la sua missiva, ho immediatamente accomunato la sua storia a quella di Miriam Passariello, che ci ha inviato anch’essa una lettera del tenore simile al suo, e a quella della famiglia di un’amica di classe di mia figlia, arrivata anch’essa da pochi mesi dal Venezuela. Sono convinto che per questo motivo la comunità venezuelana in città sia numerosa e abbia trovato buone condizioni per ricominciare. Mi piacerebbe approfondire l’argomento e comprendere quanto, come comunità, siamo stati in grado di mettervi in condizione di ripartire per una nuova vita. È così? Sarebbe davvero spiacevole scoprire che la nostra comunità non è stata sufficientemente aperta ad accogliere lo straniero,  costretto ad abbandonare il suo Paese perché la situazione è quella drammatica da lei descritta.