Due concezioni del tempo (ii)

Se il tempo della scienza, di cui abbiamo detto nel precedente articolo, soddisfa certe particolari esigenze del nostro vivere quotidiano, esso, tuttavia, non è più utile per spiegare altri modi di intendere nostre convinzioni profonde e nostri stati d’animo.

Proviamo, allora, a soffermarci su due diverse concezioni del tempo.

La prima di queste concezioni/interpretazioni è quella che ha normalmente un credente monoteista ebreo, cristiano, musulmano, che crede in un solo Dio: è il tempo senza tempo o, per essere più chiari, è il tempo lineare dell’infinito, dell’eterno, di Dio, che si sottrae ad ogni altra concezione finita. Questo tempo, secondo sant’Agostino – filosofo delle origini del pensiero cristiano – è un tempo donato all’uomo dal Signore, all’atto della creazione del mondo. Ma se si volesse spiegare cosa sia il tempo, sarebbe impossibile: creato da Dio con il mondo, non c’era prima della creazione, non ci sarà più dopo la fine del mondo. Dio viene spesso interpretato da noi essere umani, sue creature, come se fosse nel nostro tempo, ma è un grave errore, perché Dio è atemporale, senza tempo, fuori di ogni tempo, essendo per definizione eterno.

E’ questo, dunque, il motivo principale che spinge Agostino a confessare la sua ignoranza su cosa sia il tempo, dopo averne trattato a lungo, in alcune belle pagine delle sue Confessioni, opera da sempre considerata tra le più belle del pensiero cristiano: “Ti confesso, dunque, o Signore, che io ignoro ancora che cosa sia il tempo”.

Tuttavia, è lo stesso Agostino ad aprire una nuova prospettiva interpretativa (su cui si era soffermato già Platone, più di mille anni prima): se il tempo, in quanto eterno, non ha passato né futuro, ma è un solo un eterno presente, come mai noi uomini riusciamo a percepire, rispetto al presente, un passato e un futuro, cioè riusciamo ad avere memoria di ciò che è stato (ad esempio, con chi abbiamo passato il Capodanno del 2014 o come abbiamo festeggiato il nostro compleanno o quali stati d’animo abbiamo avuto alla nascita di nostro figlio o di nostra figlia) o riusciamo a progettare il tempo che deve venire, vicino o lontano che sia (ad esempio, posso dire ad un amico che ci incontreremo nel pomeriggio alle 19:00 o posso prevedere che mio figlio si iscriverà, tra un anno, finito il liceo, all’università di Roma o di Padova)? Evidentemente, già Agostino aveva individuato con chiarezza che vi è, in tutti noi, quella che egli chiama “una distensione dell’animo”, abitualmente detta coscienza, che ci rende consapevoli di essere, al presente, la nostra storia passata e i nostri sentimenti costruiti nel tempo, e di essere, sempre nel presente, anche ciò che, con buona probabilità, saremo domani o tra un mese o tra un anno. La nostra coscienza-memoria ci fa ricordare bene ciò che abbiamo vissuto di bello e di meno bello così come ci fa anticipare quello che potremmo essere nel futuro (ad esempio, prenotare hotel e viaggio, per una settimana che vorremmo passare a Firenze o a Vienna, durante le festività natalizie).

Si tratta di capire, allora, cosa mai possa rappresentare questa scoperta della coscienza, in una nuova dimensione filosofica, molto più vicina alla nostra sensibilità.

Il primo punto di vista, proprio di Immanuel Kant, grande filosofo tedesco, a cavallo tra Settecento e primi anni dell’Ottocento, è contenuto nell’opera Critica della ragion pura del 1787 e considera il tempo forma a priori della ragione umana; non solo: considera anche lo spazio forma a priori della ragione umana. Ciò significa, detto in termini molto semplici, che lo spazio e il tempo non sono creazioni di Dio, non sono eterni, non sono esterni alla nostra coscienza, ma sono un patrimonio genetico, costitutivo della ragione umana, le uniche due dimensioni attraverso cui noi riusciamo ad avere sensibilità.

Ad esempio, se sto dormendo profondamente, in questo spazio (quello che riesco a percepire, dalla posizione del mio corpo, disteso sul letto o su un divano) non vedo comparire mia moglie, che viene a riporre abiti nel guardaroba, o non avverto la presenza del mio fedele cagnolino, disteso a terra, vicino al mio letto: il motivo è semplice: se dormo, non ho percezione dello spazio intorno a me né di quello che vi sta accadendo ora! Ugualmente, se sono distratto con il mio pensiero, non vedo e non colgo le immagini che, in questo momento, stanno scorrendo sul video: come si dice abitualmente, sono con la testa altrove, penso ad altro, dunque, non mi accorgo, qui ed ora, in questo spazio e in questo momento, di ciò che sta avvenendo. Pertanto, se mio figlio mi chiede: “hai visto che spettacolo quelle scene del documentario?” o “hai sentito che musica suonava quel gruppo rock?” io devo confessargli che ero distratto, ovvero che non ero presente con la mia coscienza qui ed ora.

Una concezione di questo tipo fa della coscienza una mia realtà, interiore al mio pensiero, un tratto distintivo del mio essere, rispetto ad ogni altro essere vivente.

In pratica, da realtà inspiegabile ed esterna al mio essere, il tempo e lo spazio diventano una realtà interiore della mia coscienza, un modo di “sentire” (il verbo latino “sentio” significa: avvertire interiormente, nella mia coscienza, per cui, se non sto bene, non dico a mia moglie: “mi ascolto male”, ma “mi sento male”!!!). In pratica, avverto ciò che accade e mi accade ed inserisco tutto ciò in quella “cosa” magnifica e terribile, allo stesso tempo, che è la memoria che ognuno di noi ha della propria esistenza passata e della progettazione del proprio futuro.

Di almeno una terza e quarta interpretazione si dirà in prossimi articoli.

Raffaele Simoncini

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